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Quale futuro ordine mondiale ci lascerà la guerra in Ucraina? Chiederselo, ora che siamo a 150 dei giorni che hanno cambiato il XXI secolo, non è peregrino. Non lo è, soprattutto, dopo il vertice di Madrid in cui la Nato, con una fulminea rapidità di adattamento, ha non solo varato il suo allargamento a due Paesi che da Mosca si sentono oggi minacciati - Finlandia e Svezia - ma ha soprattutto ridefinito il proprio Concetto Strategico. In due parole, il nemico di oggi è la Russia, ma il confronto a lungo termine è con la Cina. Dall’altra parte degli schieramenti, e del globo terrestre, quasi contestualmente c’era stato il vertice dei Brics, dei Paesi emergenti nella formulazione che venne loro data dagli analisti delle banche d’affari americane, sotto l’egida del Celeste Impero. Con Pechino, ma anche pubblicamente, Mosca non ha fatto mistero di puntare a un futuro nuovo ordine mondiale multipolare. A un mondo retto come tra potenze (o imperi che dir si voglia) pari tra loro: ovverosia non più sotto il dominante ombrello statunitense. E a porre fine, secondo le parole pronunciate dal ministro degli Esteri Sergej Lavrov in varie occasioni, al “dominio globale” dell’Occidente a guida statunitense. È noto che una delle motivazioni identitarie profonde che ha mosso la Russia di Putin alla brutale e antistorica aggressione a una nazione sovrana qual è l’Ucraina, riportando la Guerra nel Vecchio Continente e rimettendo all’indietro l’orologio agli orrori del secolo scorso, sia la necessità di essere riconosciuta come “grande potenza”, e dunque non invece come “una potenza regionale”, secondo la definizione che ne diede Barack Obama. La lunga strada della Russia, che procede al ritmo degli Imperi, a passo lento ma inesorabile, verso quello che Putin ritiene il destino nazionale è cominciata dal punto di vista muscolare con la crisi (e l’invasione parziale) della Georgia nel 2008, ed è proseguita nel 2012-2014 con il medesimo scenario replicato in Donbass e Crimea. Ma comincia dal punto di vista strategico molto prima. Anzitutto usando come arma geopolitica le proprie riserve di gas e petrolio, e poi incuneandosi nei vuoti dell’Occidente. Durando la presidenza di George W. Bush, gli Stati Uniti dichiararono per bocca del Segretario di Stato Condoleezza Rice che la Russia non era più un nemico. Anzi, venne indicata come “partner” in quello che era il precedente Concetto Strategico dell’Alleanza Atlantica. E invitata come osservatore ai G7, che divenne G7 +1 prima, e G8 poi. Quando come prima reazione all’attacco dell’11 settembre 2001 la Casa Bianca decise l’invasione dell’Afghanistan (senza nemmeno coinvolgere all’inizio gli alleati della Nato) , venne data mano libera a Putin di liberarsi dei “terroristi” ceceni: i massacri di ceceni furono per Putin la prova generale dei massacri di siriani, e degli ucraini oggi. Regnando poi Donald Trump, favorevole al disimpegno militare americano, Mosca è diventata un attore di primo piano in tutto il Medio Oriente, e persino in Libia. In prima linea contro l’Isis. Questo per dire che le proprie ambizioni di potenza “imperiale” Mosca le persegue non da oggi. E di certo è su questa strada che intende continuare, tanto più dopo l’aggressione all’Ucraina. La Nato, viceversa, ha reagito prontamente mettendosi all’altezza della sfida con l’allargamento, ma anche col rafforzamento delle forze, passate in un batter di ciglia da 30mila a 300mila uomini. Trovandosi di fronte a un nemico vero, è uscita dallo stato di “morte cerebrale” che Emmanuel Macron diagnosticò solo pochi anni fa. Ma soprattutto ha indicato, nello statement finale del vertice di Madrid, la direzione strategica. Il confronto muscolare oggi è con Mosca, ma quello strategico è con Pechino. La vera superpotenza del XXI secolo, stante che gli indicatori economici non permettono di guardare ottimisticamente a questo come a un nuovo “secolo americano”. Le parole usate in quello statement non aprono un confronto diretto con Pechino, in un vertice che per la prima volta ha visto la presenza anche di Giappone e Corea, oltre che di Australia e Nuova Zelanda. La Cina per ora è indicata come “una sfida”, e “fonte di preoccupazione”: definizioni segnate da un vero understatement, vista la proiezione globale militare oltre che commerciale e diplomatica di Pechino. Ma al di là dei toni, alzando lo sguardo verso il futuro, è il Celeste Impero il vero competitore dell’Occidente sulla scena mondiale. E quando sarà il momento - quando sarà - ci si accorgerà che non si può lasciare Mosca sotto l’egida di Pechino. Come acutamente avverte già oggi uno che quei due Paesi li conosce assai a fondo, e cioè Henry Kissinger. E anche per questo i russi, oggi, chiamano a “un nuovo ordine mondiale multipolare”: sanno benissimo che rischiano di finire sotto il tallone di Xi.