Gli oppositori politici che contestano la rielezione del presidente venezuelano, Nicolás Maduro, non si arrendono anche se gli ostacoli, in alcuni casi, appaiono insormontabili. Dopo le elezioni del 28 luglio scorso, migliaia di persone sono state arrestate per aver partecipato alle manifestazioni di protesta contro il regime chavista, che resta saldo al potere nonostante, a seguito di numerose verifiche, risulta un altro il vincitore delle presidenziali: il diplomatico Edmondo González Urrutia, nel frattempo trasferitosi in Spagna grazie ad un salvacondotto.


A prendere l’iniziativa per denunciare i crimini commessi da Maduro e dal suo cerchio magico sono anche i magistrati della Corte Suprema in esilio (“Tribunal Supremo de Justicia de Venezuela en el exilio”), presieduta da Antonio José Marval Jiménez. La Corte prosegue dall’estero le proprie attività, pur essendo stata privata di ogni potere in patria con la crisi istituzionale del 2017 quando Maduro decise di controllare direttamente il potere giudiziario.

I magistrati che componevano la Corte suprema (TSJ) furono accusati sette anni fa di tradimento, usurpazione di funzioni e associazione per delinquere. Troppo pericoloso restare a Caracas. Di qui la decisione di 23 giudici di trasferirsi negli Stati Uniti, in Colombia, Spagna, Germania, Panama e Cile e continuare a battersi in nome della democrazia e del rispetto dei diritti umani. Il tribunale ha ricevuto il sostegno dell’Organizzazione degli Stati americani e del Parlamento europeo; oltre alla denuncia politica, è attivo sul versante giudiziario con una serie di iniziative. Il suo obiettivo è «recuperare l’indipendenza e l’autonomia del sistema giudiziario venezuelano, come pilastro essenziale nel processo di re-istituzionalizzazione dei poteri pubblici, necessario per uno Stato democratico soggetto allo Stato di diritto».
In un ricorso “Amicus Curiae”, la Corte suprema in esilio ha chiesto all’autorità giudiziaria argentina di agire per perseguire i crimini contro l’umanità avvenuti in Venezuela durante la presidenza Maduro. Il Dubbio è riuscito a visionare il documento presentato e sottoscritto dai giudici Antonio José Marval Jiménez, Pedro Troconis Da Silva, Domingo Javier Salgado, Zuleima del Valle González, Rafael Antonio Ortega Matos e Luis María Ramos Reyes.

L’iniziativa giudiziaria intende sottolineare il carattere transnazionale della tutela dei diritti universalmente riconosciuti. «Il sistema di giustizia penale argentino – scrivono i giudici della Corte suprema in esilio - ha piena giurisdizione per indagare, perseguire e punire penalmente gli autori di crimini contro l’umanità in conformità con la giurisdizione universale. Anche se i crimini sono avvenuti in territorio straniero, la giurisdizione argentina può essere esercitata. In Venezuela la repressione attua una politica di Stato e non vi è imparzialità, indipendenza e autonomia degli organismi preposti che non eseguono ciò che la legge impone loro, poiché obbediscono ciecamente ai comandi dei responsabili di violazioni giuridiche e costituzionali».
I casi esaminati dai magistrati venezuelani in esilio si riferiscono a crimini contro l’umanità, previsti dallo Statuto di Roma. Nel ricorso della Corte suprema in esilio si contesta al presidente venezuelano Maduro di aver depotenziato e svuotato i poteri dello Stato per utilizzarli secondo le proprie convenienze e, soprattutto, come “arma” contro gli oppositori. «L’apparato statale – evidenzia la Corte in esilio - viene utilizzato per perpetrare crimini contro l’umanità e l’impunità di alcuni atti dilaga, in quanto manca la volontà e la capacità dello Stato venezuelano di agire in maniera autonoma e indipendente. Questo stato di cose è denunciato da Amnesty International, secondo cui esiste una politica sistematica di repressione contro gli oppositori o coloro che vengono percepiti come tali. La procura della Corte penale internazionale ha aperto nel novembre 2021 un procedimento per indagare su possibili crimini contro l’umanità in Venezuela».
Un altro passaggio del ricorso è particolarmente significativo. Riguarda la repressione del dissenso nel Paese sudamericano, da intendersi come una vera e propria «politica dello Stato, poiché non avviene in modo casuale o isolato, ma è pianificata e diretta dalle forze dello Stato, sotto mandato dei suoi superiori e con il consenso di Nicolás Maduro Moros, in via generalizzata e sistematica contro la popolazione civile». «La crisi dei diritti umani – aggiungono Marval Jiménez e gli altri magistrati venezuelani - si è aggravata. Sono stati approvati, infatti, provvedimenti legislativi repressivi. Gli arresti arbitrari si verificano con frequenza, le persone vengono torturate e scompaiono. Vengono realizzate diverse forme di persecuzione politica. Il sistema giudiziario in Venezuela è stato preso di mira, consentendo violazioni sistematiche e diffuse, garantendo l’impunità per i funzionari dell’ordine pubblico e senza che le attività irregolari delle forze di polizia e militari vengano indagate».
I magistrati della Corte suprema in esilio chiedono l’intervento dell’Argentina, «pienamente competente per indagare, perseguire e punire penalmente gli autori di crimini contro l’umanità» commessi in Venezuela. È consentito dai «principi di sussidiarietà e di complementarità del diritto penale internazionale», considerato che «il sistema giudiziario in Venezuela non ha la volontà e la capacità di agire in modo obiettivo per indagare, perseguire e punire gli autori dei crimini contro l’umanità».
Il Venezuela si sta svuotando giorno dopo giorno delle energie migliori. Magistrati, avvocati, imprenditori, giornalisti, accademici che non sono allineati al chavismo del presidente Maduro fuggono in altri Paesi. L’opposizione, senza rischi, è consentita solo dall’estero, come dimostrano le attività della Corte suprema in esilio e la fuga in Spagna del candidato presidenziale González Urrutia sul quale pendeva un mandato di arresto. Il futuro del Venezuela di Nicolás Maduro Moros è sempre più nero.