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«Il diritto di difesa non è un orpello inutile, ma il fulcro del sistema costituzionale garantista». Riccardo De Vito, presidente di Magistratura democratica e giudice di sorveglianza a Sassari, dissente criticamente dalle tesi prospettate dal consigliere del Csm, Piercamillo Davigo in particolare su quell’ “anche“utilizzato per indicare la funzione rieducativa della pena.
L’utilizzo di “anche“cosa mette in discussione?
La funzione rieducativa della pena. Pur rispettandola, credo che la posizione del consigliere Davigo sia contrassegnata da una significativa arretratezza: parlare di funzione “anche” rieducativa” è in contrasto con gli approdi giurisprudenziali della Corte costituzionale addirittura risalenti alla sentenza 313 del 1990 e con il testo stesso della Carta. La funzione rieducativa, infatti, è l’unica esplicitata dall’articolo 27, comma 3.
Nell’intervista, la funzione rieducativa è messa in contrasto con il diritto all’impugnazione.
Mi sembra un ragionamento mutuato dall’ultimo Carnelutti il quale, molto criticato sul punto, sosteneva che la pena è medicina e il processo terapia. Ecco, ritenere che un avvocato faccia male al proprio assistito se ne ritarda la pena con l’appello significa avallare una visione etica del processo, dalla quale invece bisognerebbe uscire in favore della Costituzione. Non esiste conflitto tra funzione rieducativa della pena e il sacrosanto diritto di chi si ritiene innocente ad impugnare la sentenza.
Il riferimento sembra anche a pene esemplari, come strumento di politica criminale.
Proprio questa visione – acriticamente traslata dall’esperienza Usa - si scontra con la funzione rieducativa della pena. Nella sentenza 313 del 1990 la Corte costituzionale ha voluto sottolineare come la strumentalizzazione dell’individuo a fini di politica criminale debba essere esclusa dall’orizzonte costituzionale. Lo dico in modo ancora più chiaro: è offensivo porre il fine rieducativo della pena in contrasto col diritto degli innocenti ad appellare la sentenza. La rieducazione deve operare solo nei confronti di coloro che hanno riportato condanna nel rispetto di tutte le garanzie processuali.
Lei quale ruolo riconosce alla difesa?
L’avvocato non è un orpello del processo, ma svolge un ruolo fondamentale in un sistema nel quale la verità deve essere pazientemente ricercata attraverso il dispiegamento pieno di tutte le garanzie costituzionali, soprattutto quella del diritto di difesa. Il contraddittorio non è un arnese, ma il metodo essenziale perchè il risultato conoscitivo del processo sia attendibile.
Nel dibattito pubblico spesso ci si riferisce alle garanzie come elementi dilatori...
Il potere giudiziario non è intrinsecamente onnisciente e buono, ma lo è solo se disciplinato con le regole e le garanzie del giusto processo. Casistiche di abuso non possono indurre a rinunciare al principio.
Davigo sembra prediligere il processo americano, lei cosa ne pensa?
Condivido ciò che scrive una attenta comparatista come Elisabetta Grande: il modello americano va recepito con visione critica, separandolo dall’immagine ideale che troppo spesso viene descritta. Le racconto la storia di un ragazzo americano di nome Kalief Browder: a 16 anni venne accusato ingiustamente di aver rubato uno zaino, per questo rifiutò di chiedere il patteggiamento ma subì 4 anni di carcerazione preventiva perché non aveva soldi per pagare la cauzione. Alla fine le accuse caddero, ma lui si suicidò poco dopo l’uscita dal carcere. è questo il modello di processo veloce che vogliamo importare?
Questo cosa dimostra?
Che questo sistema tanto invocato, in cui l’imputato povero non ha le stesse armi dell’accusa perchè non può permettersi di pagare la cauzione, di assumere un perito o un avvocato importante, non garantisce un sistema giusto. Inoltre, mi sembra che il sistema decantato da Davigo non sia proprio quello americano, ma una sorta di puzzle. Vorrei ricordare, infatti, che il sesto emendamento prevede sì che la prescrizione sostanziale si interrompa dopo l’esercizio dell’azione penale, ma anche che decorre invece una prescrizione processuale rapida: se il processo non si fa entro un certo tempo si viene prosciolti. Si chiama speedy trial e andrebbe ricordato, così come andrebbe ricordato che in America il pm non può impugnare la sentenza di assoluzione. Mi sembra che Davigo colga solo alcuni aspetti del sistema.
Il presidente del Cnf, Mascherin, si interroga sulla fallibilità del giudice e sostiene che il giusto processo serva proprio a evitare errori giudiziari.
E’ vero, ed è anche la ragione per cui l’appello è un principio fondamentale dell’ordinamento. Il doppio grado di giudizio serve ad evitare l’errore giudiziario e a permettere che la sentenza raggiunga il maggior grado di approssimazione possibile alla verità. Non sarebbe un fuor d’opera una sua rimodulazione, ma all’abolizione non pensò neppure Rocco.
Un ultimo riferimento di Davigo è alla categoria “fantasiosa” dei non abbienti, che accedono al patrocinio a spese dello Stato.
Ecco un’altra differenza tra il nostro sistema e quello americano. Il patrocinio a spese dello Stato concretizza il principio costituzionale del diritto di difesa, garantendola a chi non se la può permettere. Da magistrato di sorveglianza, inoltre, aggiungo che la non abbienza è una categoria facilmente verificabile, mettendo piede in carcere. Di più, la composizione delle nostre galere testimonia come il processo penale funzioni poco, ma molto per chi viene dai margini del perimetro sociale. Per questo dico: il patrocinio a spese dello Stato va reso più efficiente, per permettere agli imputati di difendersi, a prescindere dal censo.