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Una parola fraintesa gli ha rovinato la vita. Ventuno anni dopo essere finito in cella, Angelo Massaro, 52enne di Fragnano, in provincia di Taranto, ha visto riconosciuta la propria innocenza: non ha ucciso lui il suo amico Lorenzo Fersurella, ammazzato il 22 ottobre 1995. Massaro ha dovuto però affrontare un processo di revisione a Catanzaro per sentirsi dire di non aver mai impugnato quell’arma. Quasi la metà della sua vita l’ha passata dietro le sbarre per una consonante: gli investigatori che lo hanno intercettato hanno interpretato male una parola in dialetto. “Muert”, che in pugliese vuol dire morto, al posto di “muers”, che significa, invece, oggetto ingombrante. Una lettera sola ha stravolto la vita di un ragazzo che all’epoca aveva solo 29 anni e un bimbo nato da soli 45 giorni.
Una parola fraintesa gli ha rovinato la vita. Ventuno anni dopo essere finito in cella, Angelo Massaro, 52enne di Fragnano, in provincia di Taranto, ha visto riconosciuta la propria innocenza: non ha ucciso lui il suo amico Lorenzo Fersurella, ammazzato il 22 ottobre 1995. Massaro ha dovuto però affrontare un processo di revisione a Catanzaro per sentirsi dire di non aver mai impugnato quell’arma. Quasi la metà della sua vita l’ha passata dietro le sbarre per una consonante: gli investigatori che lo hanno intercettato hanno interpretato male una parola in dialetto. “Muert”, che in pugliese vuol dire morto, al posto di “muers”, che significa, invece, oggetto in- gombrante. Una lettera sola ha stravolto la vita di un ragazzo che all’epoca aveva solo 29 anni e un bimbo nato da soli 45 giorni. «Finalmente è emersa una verità, che poi è sempre la verità processuale che vorremmo tutti coincidesse con quella vera – ha commentato Salvatore Maggio, difensore di Massaro -. Posso dire con amarezza che c’è una persona che non ha commesso il grave reato per il quale era stato condannato e che solo dopo 21 anni lascia le patrie galere. La giustizia è fatta da uomini e come tali possono sbagliare tutti». La Cassazione aveva decretato 24 anni di carcere per l’uomo, il cui caso si è riaperto cinque anni fa dopo una lunga battaglia da parte del suo legale. La Corte d’appello di Potenza aveva infatti negato la revisione del processo, poi concessa dalla Cassazione nel 2015. Il processo è quindi finito in Calabria, a Catanzaro, che ha ordinato l’apertura della cella dopo 21 anni trascorsi lì da innocente. Com’era capitato, prima di lui, a Giuseppe Gulotta, che ha passato 23 anni in cella per la strage di Alcamo, alla quale però non ha mai preso parte. Per lui lo stato ha sentenziato lo scorso anno un maxi risarcimento da 6 milioni e mezzo. Ora Massaro potrebbe chiedere un indennizzo per l’ingiusta detenzione. «È entrato in carcere che aveva 29 anni e si era appena sposato. Ora di anni ne ha 51 ed è ancora frastornato dalla notizia. Il suo stato d’animo è di gioia, ma anche amarezza per i tanti anni che ha perso dietro le sbarre», ha spiegato il legale.
La sera del 17 ottobre del 1995 Massaro venne intercettato al telefono con la moglie. Era passata una settimana dalla scomparsa di Fersurella, suo amico. I due parlavano del più e del meno ma una frase attirò l’attenzione degli agenti. «Faccio tardi stasera, sto portando u muers», disse Massaro. «Stava trasportando un ingombrante slittino da neve attaccato alla sua auto – ha spiegato il legale -. C’erano anche testimoni che avrebbero potuto confermare l’alibi, ma i difensori di allora non li citarono convinti che l’impianto accusatorio fosse debole».
Fersurella venne trovato crivellato di colpi in una cava alla periferia di San Giorgio Jonico. Fu un pentito a puntare il dito contro Massaro, che avrebbe ucciso il suo amico per contrasti nel mondo dello spaccio. Venne così condannato, pena diventata definitiva nel 1997. Cinque anni fa Maggio ha chiesto per la prima volta la riapertura del processo. Nelle sue mani prove importanti: Massaro il giorno dell’omicidio non si trovava a Fragagnano, luogo in cui Fersurella scomparve, bensì a Manduria, al Sert. A sostegno della tesi dell’innocenza anche alcune testimonianze e le intercettazioni di un altro processo, “Ceramiche”, nel quale l’uomo si professa più volte innocente. «Insomma, tutta una serie di elementi che non erano stati presi in considerazione – ha sottolineato il legale -. Sono contento per essere riuscito a dimostrare l’innocenza di una persona ed è una grande soddisfazione per lui, per la sua famiglia e per quello che è stato fatto». Prove che vengono valutate soltanto negli ultimi due anni, quando ormai la pena è stata quasi totalmente scontata tra le carceri di Foggia, Carinola, Taranto, Melfi e Catanzaro. Negli ultimi anni la sua battaglia è finita su un blog, “Urla del silenzio”, dal quale ha più volte raccontato storie e lanciato appelli al ministero al dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, all’associazione “Antigone” e all’associazione “Bambini senza sbarre”.