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Alla vigilia della direzione del Pd, le varie anime del partito se le danno di santa ragione a colpi di dichiarazioni e tweet. «Se persino uno mite e calmo come me arriva a dire: finiamola con polemiche inutili che non fanno bene al Pd significa che si è superato il livello di guardia», parola di Lorenzo Guerini. Alla vigilia della direzione del Pd, le varie anime del partito se le danno di santa ragione a colpi di dichiarazioni e tweet. «Ogni giorno un se o un ma. Ogni giorno si pone una condizione», prosegue il vice segretario dem polemizzando con la minoranza. «Credo sia venuto il momento di smetterla con la tattica dell'aspirazione al logoramento. Se si anticipa il congresso lo si anticipa davvero, senza formule fantasiose, ma con le procedure e la strada indicata dallo statuto e cioè convenzioni nei circoli e poi elezione del segretario con primarie aperte. Punto». I renziani hanno fretta di tornare al voto e temono che l'unico obiettivo della minoranza sia quello di tirare il freno a mano per proseguire con l'esperienza Gentiloni fino al 2018. «Il Pd non ha bisogno di un congresso», spiega infatti Francesco Boccia, «ma serve il tempo giusto previsto dal nostro statuto per portare le diverse tesi in ogni provincia italiana». Ancora più esplicito Cesare Damiano, presidente dem della commissione Lavoro alla Camera. «Renzi non scelga in direzione la strada dello strappo e della accelerazione del Congresso e del voto. Prima delle elezioni vengono gli interessi del Paese e le sue emergenze, da quella economica a quella sociale», dice. «Ci sono tutte le condizioni per portare la legislatura alla sua conclusione naturale per realizzare una riforma elettorale condivisa che assicuri la governabilità». Renzi però non ha nessuna intenzione di aspettare un altro anno, correndo il rischio di finire stritolato tra le correnti e di dover intestarsi la manovra correttiva imposta da Bruxelles. Gli avversari lo sanno e provano a stuzziacarlo. Come Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana e pretendente al trono di segretario. «Per me la linea è fare un regolare congresso dando le dimissioni per consentire le elezioni di una segreteria di garanzia, con i tempi necessari. Nel frattempo bisogna sostenere il governo del Paese», spiega, giocando di sponda col governatore della Puglia Michele Emiliano, anche lui in corsa per sfidare Renzi. Risponde a muso duro Emanuele Fiano, deputato alfiere del renzismo, che consegna il suo pensiero a Twitter: «Le giravolte di Emiliano e Rossi hanno come obiettivo solo quello di dividere il Pd e attaccare Renzi come farebbero Brunetta o Di Maio». I due presidenti di Regione - oggi entrambi a Firenze per “Può nascere un fiore”, la due giorni dem organizzata da Francesco Laforgia – finiscono nel mirino anche di Andrea Romano che, sempre sui social network, scrive: «Emiliano e Rossi uniti nella lotta. Contro Lega, M5S, Forza Italia? No, contro Renzi e il popolo del Pd #nuoveconvergenzeparallele». Emiliano, dal canto suo, ne approfitta per attaccare frontalmente il segretario. E dal palco di Firenze ironizza sull'ex premier: «Ma è sicuro che ha ceduto e si dimette? Perché può darsi che stanotte cambi idea come gli capita spesso», dichiara. Renzi «normalmente sbaglia le scelte e ci porta alla sconfitta. Una campagna elettorale fatta con l’immagine di Renzi leader del Partito democratico per noi sarebbe una rovina». Ma il dibattito domenicale è solo un assaggio dello scontro che si consumerà domani in direzione. L'appuntamento è alle 14,30 al Nazareno. Ma la scissione? È come se fosse già avvenuta nei fatti.