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Non è il braccio di ferro tra Matteo Renzi e il resto della maggioranza a fare testo. Se sulle barricate della riapertura il prima possibile e forse ancora prima ci fosse solo Italia viva il problema sarebbe facilmente gestibile. Solo che Renzi, con una certa dose di astuzia, ha occupato quella posizione per dare voce a una componente della società di fronte alla quale il governo non può chiudere le porte: gli industriali.La pressione di Confindustria è martellante e senza tregua. Le cifre diffuse ieri dall'Ufficio studi dell'associazione degli industriali vanno inscritte, senza per questo metterle necessariamente in dubbio,in quell'offensiva: 6% di Pil in meno, recessione piena, ma questo già si sapeva. La novità è che Confindustria prevede una perdita dello 0,75% del Pil per ogni settimana di fermo a maggio. Il giorno prima ad attaccare era stato il presidente di Federacciai Banzato: “Noi siamo fermi al 95%. Germania, Francia e Spagna continuano a produrre. Così rischiamo di essere tagliati fuori dai mercati”. Inoltre sin dal varo della sospensione delle attività non essenziali fioccano le richieste di esenzione.Gli argomenti di Confindustria non sono affatto campati per aria, anche perché le filiere produttive sono ormai molto integrate e distinguere tra attività essenziali e non essenziali è un'impresa. Il problema è che quelle pressioni sono già state all'origine di alcuni errori esiziali: il rifiuto di dichiarare Bergamo zona rossa agli inizi di marzo e il ritardo con cui si è arrivati prima al lockdown, poi alla chiusura delle aziende.Dunque, nonostante la spinta degli industriali, la concreta minaccia di una crisi senza precedenti, la sponda che nella politica offrono agli industriali leader come Renzi e governatori come il ligure Toti, il governo resta deciso a confermare le misure restrittive in toto: quarantena, chiusura delle attività commerciali, sospensione delle attività produttive. Certamente fino a pasqua, come ha già assicurato il ministro della Sanità Speranza. Però è difficile immaginare un dpcm che resta in vigore meno di due settimane. Il decreto che prolungherà l'emergenza a partire dal 3 aprile arriverà dunque sino al 18 aprile.Cosa succederà dopo quella data, però, non è affatto certo. Dipenderà da numerose variabili e immaginare che il governo e il comitato scientifico abbiano già deciso come muoversi sarebbe sbagliato, anche se certamente la tendenza è a riaprire almeno le aziende. Quelle variabili sono essenzialmente tre. La prima, naturalmente, è lo stato del contagio. I segnali positivi ci sono, ma sono timidi. Al momento si tratta di un rallentamento, nemmeno drastico, nella velocità di crescita. Se per il 18 aprile la curva non sarà invece in discesa e non solo in meno celere salita riaprire anche solo le aziende potrebbe rivelarsi impossibile.La seconda variante riguarda gli strumenti a disposizione per contrastare il contagio. Se il 18 aprile fossero ancora quelli attuali, tornare anche solo in parte alla normalità sarebbe un suicidio quasi garantito. Bisogna disporre di tamponi e mascherine, che continuano a scarseggiare anche per i continui intoppi burocratici denunciati ieri dal governatore della Lombardia Sala, ma non solo. Per gli strateghi della guerra al virus è fondamentale poter disporre delle app per tracciare i telefoni in modo da poter intervenire subito su chi è stato in contatto con un nuovo positivo, informandolo e chiedendogli di contattare subito la Asl. Il lavoro dovrebbe essere in fase avanzata. Però quella app ancora non è disponibile. Altrettanto importante la possibilità di effettuare le analisi sierologiche. Non servirebbe a restituire rapidamente una mappa del contagi, dal momento che quell'analisi non indica i casi di positività. Sarebbe però sufficiente per individuare gli immuni, e il quadro sarebbe così molto più definito. Sull'analisi sierologica sta lavorando tutto il mondo. I passi avanti pare siano notevoli e veloci. Però quell'analisi non è ancora disponibile e che lo sia dopo il 18 aprile è qualcosa in più di una speranza ma qualcosa in meno di una certezza.La terza variabile è il comportamento degli italiani. Il weekend ha segnalato una brusca impennata nella trasgressione alle norme del distanziamento sociale, anche da parte di numerosi positivi. Il rischio di una trasgressione di massa nell'ultima decina di aprile, costellata di ponti e vacanze, peserà moltissimo.Se le variabili in questione lo permetteranno a partire dal 18 potrebbero iniziare a riaprire progressivamente le aziende che hanno nel frattempo adottato le misure di sicurezza necessarie. Per gli esercizi commerciali bisognerà aspettare di più, probabilmente sino al 4 maggio, e comunque le norme di sicurezza resteranno rigide. Si entrerà solo con le mascherine e a scaglioni per garantire la distanza di sicurezza. Ristoranti e bar saranno gli ultimi a riaprire e solo quelli che permettono la distanza di sicurezza, mentre per le scuole quasi certamente non se ne parlerà prima di ottobre.Parlare di fine dell'emergenza è dunque comunque sbagliato. Si tratterà di un attenuamento dell'emergenza lento, progressivo e sempre passibile di nuove strette se necessario. Lo stesso impatto negativo sull'economia si ammorbidirà ma senza esaurirsi per molti mesi. In queste condizioni, comunque, la politica dovrà affrontare una ripresa che si annuncia difficilissima. Il sindaco di Milano Sala propone una “Costituente per il dopo emergenza” e in effetti pensare di affrontare la ricostruzione in un quadro fragile da ogni punta di vista come era quello italiano prima del contagio vorrebbe dire votarsi al fallimento. Sala potrebbe non avere torto. .