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La prima, anche se non certo la principale preoccupazione del governo italiano di fronte alla crisi in Medio Oriente è un affare interno: la sorte dei civili e quella dei militari del contingente italiano nella missione Unifil, il più numeroso di tutti. Non si tratta di una gretta miopia che porta a guardare solo il proprio particolare a fronte di rischi globali ed enormi. È che l'Italia si rende conto di una semplice quanto amara realtà, della quale ha avuto conferma nel vertice del G7 convocato dalla presidente di turno Giorgia Meloni ( che ieri ha avuto una telefonata sul tema con Elly Schlein) all'indomani dell'attacco iraniano: in questa vicenda non solo l'Italia ma l'intera Europa è condannata, e in realtà si è condannata, al ruolo dello spettatore impotente. Voce in capitolo, nel blocco occidentale, possono avere solo gli Usa. Tutti gli altri non hanno parte in tragedia.
Il governo è del tutto consapevole di quanto delicata sia la situazione. Al ministero della Difesa ammettono senza perifrasi che la morte di un soldato italiano sarebbe «un disastro». Dunque ha considerato l'ipotesi di evacuare la truppa italiana ma ha giustamente deciso di non fare un passo che avrebbe assicurato il discredito internazionale e permanente del Paese. La decisione di restare, o forse sul fino a quando restare in Libano, spetterà solo all'Onu e l'Italia anzi chiede che il contingente Unifil assuma maggior ruolo e nuovi compiti. Prudenza impone di prepararsi per ogni evenienza a un’evacuazione che, se necessario, potrà essere portata a termine in tempi record, non oltre le 48 ore ma probabilmente ne basterebbero 24. In effetti tutto è già pronto per una fuga che non ci sarà a meno che non siano le Nazioni Unite a deciderlo.
L'Italia però ha nella propria faretra alcune frecce in più rispetto agli altri Paesi occidentali. Per mettere a fuoco il quadro occorre fare un salto indietro di 42 anni. Nel 1982 l'Italia partecipò con un suo contingente alla missione di pace decisa subito dopo la strage di Sabra e Chatila, i campi palestinesi dove i falangisti cristiano- maroniti, coperti dalle truppe occupanti israeliane, massacrarono migliaia di palestinesi per vendicare il loro capo, Bashir Gemayel, ucciso in un attentato. Doveva essere una missione Onu. Non lo fu perché l'Urss mise il veto. Il grosso delle truppe fu fornito da Usa, Francia e Italia.
Il contingente italiano contava mille soldati al momento dell'arrivo, il 20 giugno 1982, poi saliti fino a 2.300. La situazione, in piena guerra civile, era ad altissimo rischio. Ci furono scontri a fuoco e nel corso della missione, terminata il 6 marzo 1984, un soldato italiano rimase ucciso. Ma nel complesso l'Italia fu l'unico Paese a non essere preso di mira. La Francia subì un attentato che costò la vita a 56 soldati. Gli Usa, presi di mira più volte, in un solo attentato persero la vita 241 marines, il più alto numero di militari americani uccisi in un solo giorno dalla seconda guerra mondiale. Nel giorno delle stragi contro francesi e americani il contingente italiano fu l'unico a non essere attaccato.
L'Italia era il solo Paese che potesse contare su rapporti stretti con tutte le parti in causa e lo è ancora. Basti pensare che si tratta dell'unico Paese dell'Europa occidentale mai attaccato, in tempi ben più recenti, dall'Isis. Quei rapporti privilegiati, in buona parte eredità della politica in Medio Oriente della prima Repubblica, il governo cerca già di metterli a frutto per garantire l'incolumità dei soldati italiani. Meloni ha chiamato il primo ministro libanese Najib Miqati, il ministro Crosetto ha parlato con rappresentanti di tutti i governi coinvolti nella vicenda, Tajani ha contattato l'omologo ministro degli Esteri iraniano. Ma la fiducia di cui l'Italia gode nell'area, se le circostanze lo permetteranno, il governo cercherà di metterla a frutto anche per più ambiziosi obiettivi: rendersi protagonista di quella “soluzione diplomatica” che al momento è solo una formula vuota.
L’ha adoperata Palazzo Chigi, dopo il vertice notturno convocato subito dopo l'attacco dell'Iran. L’ ha sottolineata il G7, definendo quell’eventualità «ancora possibile». Ma per ora la sola proposta dettagliata è italiana: rafforzamento della missione Unifil, senza modificare le regole di ingaggio, con il compito di garantire la sicurezza di tutti nella zona più nevralgica, fra il Litani e il confine con Israele, creazione di una ulteriore zona cuscinetto oltre il Litani, affidata all'esercito libanese.
Il primo ministro libanese contropropone di affidare all'esercito del suo Paese la zona tra il Litani e il confine. In ogni caso se si aprirà uno spiraglio Meloni farà il possibile perché l'Italia, forte dei rapporti di cui sopra, svolga un ruolo centrale.