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È stato come un blitz: alle nove del mattino le guardie carcerarie hanno prelevato Salah Abdelslam dalla sua cella per trasferirlo in Francia. È stata direttamente l’avvocata Delphine Paci a riferire la notizia all’Afp, lamentandosi di una decisione che, per la difesa, costituisce, «un attacco flagrante dello Stato di diritto», frutto «di un’intesa tra lo Stato belga e quello francese che viola una decisione della giustizia».
La corte d’appello di Bruxelles lo scorso 3 ottobre aveva infatti sospeso l’estradizione dell’unico superstite del commando che, il 13 novembre 2015, uccise 130 persone a Parigi (oltre 80 nella sala concerti del Bataclan) sotto richiesta dei suoi avvocati per valutare se ci fosse il pericolo che subisse un trattamento inumano o degradante.
Condannato all’ergastolo ostativo in Francia, Abdelslam contava di rimanere sotto la giurisdizione di Bruxelles per un motivo semplice: il sistema giudiziario del Belgio non prevede infatti questa tipologia di pena in quanto incompatibile alla possibilità di recupero e di reinserimento sociale dei condannati e all’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
In teoria, dopo 15 anni di buona condotta, Abdeslam avrebbe potuto beneficiare dei primi permessi premio. Ma la stessa Corte europea dei Diritti dell’uomo, in una sentenza del 2014 aveva giudicato l’ergastolo ostativo previsto dal dai codici transalpini, conforme all’articolo 3 in quanto non sopprime «il diritto alla speranza».
In effetti la giustizia francese accorda ai detenuti la possibilità, dopo trent’anni di detenzione, di chiedere la fine dell’ostatitività della reclusione dopo il parere di una commissione di psichiatri e una successiva valutazione di giudici di Cassazione. Non la pensa così l’avvocata Paci, per la quale il suo cliente è destinato a subire «una pena di morte lenta», e non la pensava così la corte d’appello di Bruxelles che aveva congelato l’estradizione, contestando in modo sorprendente la giurisprudenza della Cedu.
Ma l’avvocata Paci contava anche di far valere l’articolo 8 della Convenzione europea che protegge il diritto alla vita privata, anche di chi è privato della libertà: Abdeslam è nato in Francia ma tutti i suoi familiari hanno la residenza in Belgio; al termine del processo di Bruxelles in cui è stato condannato a vent’anni per concorso negli attentati all’aeroporto di Zaventem e alla stazione del metro di Maalbeek in cui persero la vita trenta persone, Abdeslam aveva chiesto espressamente di poter rimanere in custodia delle autorità belghe per poter spezzare l’isolamento carcerario con i rari colloqui concessi: «Qui vivono i miei cari, qui è il mio futuro».
Alla fine è prevalsa la logica politica e il negoziato tra i governi che sulla questione avevano avuto più di un battibecco sfiorando la crisi diplomatica; dallo scorso ottobre il ministro della giustizia francese Eric Dupond-Moretti sbatteva i pugni sul tavolo per ottenere l’estradizione del jihadista evocando un preciso accordo con le autorità di Bruxelles sulla riconsegna di Abdeslam alla Francia che sarebbe dovuta avvenire subito dopo il processo.
Secondo la procura federale belga «la decisione è stata presa dopo un’attenta analisi del dossier considerando che esisteva il forte rischio di non avere più i titoli legali per tenere Salah Abdeslam in detenzione e opporci alle richieste francesi». Ora il solo sopravvissuto tra i terroristi del Bataclan è detenuto nel carcere di massima sicurezza di Reux, nella regione parigina. L’unica concessione che ha ottenuto riguarda la videosorveglianza che sarà diminuita: nei primi cinque anni di detenzione passati in totale isolamento veniva controllato da una videocamera 24 ore su 24.