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Dopo il grande sciopero degli studenti, il # globalclimatestrike di venerdì 15 marzo, che ha visto scendere in piazza un milione di giovani in tutto il mondo, è risuonato ancora più forte l’allarme lanciato dal climatologo francese Jean Jouzel: bisogna fare in fretta, abbiamo solo quindici anni se vogliamo agire in maniera efficace per salvare il pianeta. Glaciologo, autore di oltre 400 pubblicazioni è stato vicepresidente del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico ( Intergovernmental Panel on Climate Change – Ipcc) l’organizzazione premiata nel 2007 con il Nobel per la pace.
Una delle sollecitazioni che arrivano da ragazzi e ragazze giovanissime come la svedese Greta Thunberg che è che siamo arrivati a un punto di non ritorno: questa è davvero l’ultima generazione che possa intervenire per prevenire una catastrofe ambientale?
Mi ha fatto molto piacere vedere in questi ultimi giorni Parigi invasa da persone che si mettono in marcia, giovani soprattutto. Perché quando si pensa che la temperatura globale è già aumentata in maniera significativa è chiaro che siano loro i primi ad essere più preoccupati: se le condizioni climatiche resteranno severe, con conseguenze devastanti per la Terra, saranno loro che ne subiranno di più gli effetti in futuro. Da qui a dieci anni dovrebbero entrare nel mondo del lavoro e se la transizione ecologica fallirà saranno i primi ad esserne danneggiati. Il mio auspicio è che si faccia qualcosa e presto per invertire questa tendenza negativa.
La politica è sotto accusa, la sua azione viene giudicata insufficiente. Quali errori sono stati commessi?
La politica se n’è occupata, certo, sottoscrivendo degli accordi importanti da Kyoto a Copenaghen fino a Parigi, nel 2015, quando fu deciso di contenere l’aumento della temperatura entro 1,5 gradi. Ma il consenso sui tanti testi approvati e la volontà di raggiungere obiettivi ambiziosi non sono bastati ai governi, che a tutto questo non hanno fatto seguire azioni concrete e spesso hanno agito individualmente, come gli Stati Uniti fecero con George Bush che ritirò l’adesione al Protocollo di Kyoto. Oggi siamo nella stessa situazione di allora e ci si deve confrontare con la scelta di Trump di uscire dagli accordi, le esitazioni del Brasile o ancora dell’Australia, le prese di posizione della Russia. Già l’accordo di Parigi non è sufficiente ma se i paesi non guardano nella stessa direzione sarà impossibile rispettarne i termini.
Qualcosa però è cambiato, c’è maggiore consapevolezza.
Certo ora siamo tutti più coscienti di quanto sta accadendo sul nostro pianeta. Eppure finché non si passerà alla fase successiva della sensibilizzazione e della messa in pratica non si andrà molto lontano. Sono trent’anni che parliamo degli effetti dei cambiamenti climatici ma il dramma del riscaldamento del pianeta non è quello cui stiamo assistendo: sarà quello che vedremo nei prossimi trent’anni e sarà il modo in cui interverremo sulle emissioni di gas serra che determinerà il nostro futuro. I giovani questo lo hanno già capito e per questo ci incalzano.
Nell’ultimo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change si converge sulla soluzione di dimezzare, da qui al 2030, le emissioni di gas serra. È questa la risposta?
Certo, le cifre sono chiare: sappiamo che il pianeta continua a riscaldarsi e che dobbiamo restare entro 1,5- 1,9 gradi ma è davvero difficile che ci si riesca nei prossimi anni se non cominciamo a prendere tutti delle decisioni. Continuiamo a costruire aerei e navi ma dovremmo ricordarci che qualunque investimento ha un effetto sull’ambiente e che è questo il momento in cui dobbiamo cambiare il modo di fare le cose.
Considerando la situazione allarmante non la sorprende che la mobilitazione nel mondo non sia ancora stata enorme?
Bisogna dire che da quando si è constatato che non si riuscirà a rispettare l’Accordo di Parigi e si è iniziato a percepire che il clima sta effettivamente cambiando si è andati oltre lo scetticismo e la reazione è stata più visibile. Non quella che ci si sarebbe aspettati, certo, infatti finora in questi anni in prima fila ci sono stati soprattutto alcuni paesi del Nord Europa, il Belgio. Ma è anche per questo che l’intensa mobilitazione di questi ultimi giorni è stata molto importante: è una bella immagine che ci fa sperare per il futuro.