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«Se oggi Massimo Bossetti dovesse essere definitivamente condannato all’ergastolo ci troveremmo dinanzi a uno dei più grandi errori giudiziari del nostro Paese» : a parlare al Dubbio è l’avvocato Claudio Salvagni che stamane con il suo collega Paolo Camporini sarà in Cassazione, dove si deciderà il futuro del muratore di Mapello già condannato all’ergastolo per la morte di Yara Gambirasio, la 13enne trovata priva di vita nel 2010 in un campo di Chignolo d’Isola, pochi chilometri da Bergamo. A essere giudicato sarà anche un impianto accusatorio senza precedenti in Italia, per il quale sono stati analizzati oltre 18.000 profili genetici, con una spesa di milioni di euro. Come è noto la Cassazione sarà chiamata a pronunciarsi con un giudizio di metodo e non di merito.
Le strade che si aprono sono tre: conferma dell’ergastolo, annullamento dell’appello con rinvio per concedere una nuova perizia sul dna, assoluzione. Su questo è chiaro l’avvocato Salvagni: «Non bisogna chiedersi se Bossetti è innocente o colpevole ma se le due sentenze fino ad ora emesse rispettino i principi del nostro ordinamento giuridico e se sono logiche. Questo è il nodo fondamentale su cui gli ermellini dovranno pronunciarsi. Noi crediamo che esse non siano rispettose dei principi fondanti il nostro ordinamento, in primis il diritto di difesa, sancito in Costituzione, e il diritto ad un giusto processo».
La difesa di Bossetti ha depositato un ricorso principale e un ricorso aggiunto, per un totale di quasi settecento pagine, contenenti 23 motivazioni per le quali la sentenza di condanna in appello dovrebbe essere annullata. Per l’avvocato Salvagni «Il mio assistito è stato condannato sulla base della prova del dna ottenuta però fuori da un contraddittorio, caratterizzata da un numero incredibile di anomalie. Si tratta di una prova in se stessa contraddittoria, su cui la difesa non ha potuto fare alcuna perizia». Infatti, come leggiamo nel ricorso, «l’unico dato certo in questo processo è che il risultato del dnaA nucleare è stato ottenuto in modo unilaterale, con kit scaduti, senza alcuna verifica e ripetizione come sancito dai protocolli, senza identificazione, nonostante la decantata purezza e quantità, della provenienza biologica ( saliva, sangue o altro) ed è in clamorosa contraddizione con quello del dna mitocondriale, parimenti valido. Come poter dare credito ad un simile dato? Non è possibile, in quanto il dato per poter essere considerato l’architrave dell’affermazione di responsabilità deve essere perfetto sia dal punto di vista sostanziale ( privo di anomalie), sia dal punto di vista processuale ( verificato in contraddittorio). La sentenza qui impugnata presta e chiede un atto di fede incondizionato verso il lavoro dei Ris, inutilmente incensati, pur a fronte di palesi errori». Si chiede dunque Salvagni: «Può definirsi giusto quel processo che non consente nella sostanza all’imputato di difendersi? È pacifico che Bossetti quantomeno formalmente si sia difeso in 45 udienze in primo grado e 5 in appello ma nella sostanza questa difesa è stata reale, effettiva? No, perché pur essendoci ancora materiale biologico, come riferito degli stessi consulenti del pm, per effettuare una nuova perizia genetica, questa possibilità ci è stata ostinatamente negata».
Nel ricorso firmato da Salvagni e Camporini si fa anche riferimento a una «evidente violazione dell’art. 6 comma 1 e 3 lett. b) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo» che definisce il giusto processo. In particolare si citano due casi; Matytsina vs Russia e Dusko Ivanovski c. ex Repubblica yugoslava di Macedonia: il caso Bossetti scrivono i legali “ruota” intorno alla prova scientifica e come in quei procedimenti il modo in cui sono state gestite le prove degli esperti ( e la negazione di una perizia) ha reso quei processi non equi e quindi “ingiusti”, così anche nell’odierno processo si riscontrano tutte le patologie che l’organo sovranazionale non ha perso occasione di censurare'. Quando gli chiediamo se ultimamente nella giuri- sprudenza stia prevalendo un orientamento che conferisce troppa rilevanza probatoria all’esame del dna, a scapito delle tecniche classiche di indagine, il legale ci dice che «sì, purtroppo è così. Invece il dna dovrebbe essere un tassello in un mosaico complessivo di un quadro accusatorio».
E sul restante impianto accusatorio nei confronti di Bossetti? «Anche qui - spiega l’avvocato - rasentiamo l’assurdo. La tesi dell’accusa è che le fibre rinvenute sulla vittima siano compatibili con quelle del furgone di Bossetti. Ciò non è sufficiente perché ci sono migliaia di furgoni compatibili. Perché gli inquirenti non hanno verificato se ci fosse compatibilità con i sedili della famiglia Gambirasio? Non sono neanche sicuri se sia quello ripreso dalle telecamere e non hanno voluto ripetere il passaggio con il furgone dell’imputato. E non hanno neanche fatto un confronto tra il diametro delle fibre in loro possesso e quelle del furgone. In sintesi, perché accontentarsi di qualcosa quando si può arrivare alla verità utilizzando una metodologia scientifica e ripetibile? C’è in ballo la vita di un uomo». In un contesto dove il processo mediatico è considerato da Salvagni una «vera iattura per l’ottenimento di una sentenza giusta. Siamo fiduciosi che oggi, senza giurati popolari influenzabili, venga emessa una decisione rispettosa dello Stato di Diritto». In attesa del pronunciamento chiudiamo con quanto dichiarato dal sostituto procuratore generale presso la Suprema Corte di Cassazione, il consigliere Francesco Iacoviello, nell’ambito del processo Eternit, che i legali di Bossetti riportano nel ricorso: “Nel processo penale non c’è il diritto al dubbio. C’è di più: c’è il dovere del dubbio”.