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C’è qualcosa che lega le vicende che la notte tra giovedì e venerdì della scorsa settimana hanno portato alla tragica fine del Vicebrigadiere dei Carabinieri Mario Cerciello Rega e l’immagine dell’assassino confesso ammanettato e bendato in un ufficio dei Carabinieri.
Quel qualcosa è l’eclisse della legalità, che sotto vari aspetti costituisce il filo conduttore di quelle tristissime e sciagurate vicende.
In primo luogo, ho dei dubbi che rientri nei compiti istituzionali delle forze dell’ordine – nel caso di specie l’Arma dei Carabinieri – intervenire per dirimere una squallida controversia che vede come protagonisti: due giovani alla ricerca di cocaina, un procacciatore che si offre di accompagnarli da un pusher, che invece della cocaina fornisce una compressa di tachipirina tritata; l’intervento casuale di una pattuglia di carabinieri che mette in fuga il procacciatore, il pusher e i potenziali consumatori, che a loro volta si impossessano del borsello del procacciatore. Quest’ultimo torna dalla pattuglia dei carabinieri per denunciare il furto.
Successivamente il maresciallo comandante della competente stazione dei CC dispone che Andrea Varriale, accompagnato dal vicebrigadiere Rega, si rechi sul posto per rintracciare e identificare il pusher che si era dato alla fuga; nel corso di contatti telefonici i due americani chiedono al procacciatore 80 euro per restituire il borsello.
Il procacciatore denuncia al 112 la richiesta ritenuta estorsiva e la centrale dei CC affida l’incarico di recuperare il borsello ai carabinieri Varriale e Rega che si trovano già in zona, sono in borghese e quindi, trattandosi di un’estorsione, possono avvicinarsi senza destare sospetti. I carabinieri tramite il procacciatore combinano l’appuntamento con i due giovani americani, che si concluderà tragicamente con la morte del vicebrigadiere Mario Cerciello Rega.
Ma chi ha valutato che si trattasse effettivamente di un’estorsione? La richiesta era di soli 80 euro, e non risulta che sia stata accompagnata da violenza o minaccia, cioè le condotte che caratterizzano il delitto di estorsione. In fin dei conti gli 80 euro erano quelli che i due americani avevano sborsato per procurarsi la dose di cocaina.
Come non rendersi conto che si trattava di una squallida vicenda tra spacciatori e truffatori da strapazzo, che non avrebbe richiesto né giustificato l’intervento dell’Arma dei Carabinieri? Viene naturale domandarsi se in questa vicenda balorda tra balordi la legalità che doveva essere difesa era il supposto diritto del procacciatore di recuperare il borsello rubato senza sottostare alla richiesta di 80 euro. Forse sarebbe stato meglio limitarsi a identificare e denunciare all’autorità giudiziaria il procacciatore e il pusher per i reati di droga. Il caso ha voluto che a questa vicenda di malintesa tutela della legalità finita così tragicamente si sia accompagnata pochi giorni dopo una violazione gravissima della legalità. In tutti luoghi in cui transitano persone in stato di fermo o di arresto dovrebbe essere esposto a caratteri cubitali il quarto comma dell’articolo 13 della Costituzione: “E’ punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizione della libertà”.
Grazie ad una foto siamo invece a conoscenza che il giovane americano indagato per l’assassinio del Vicebrigadiere dei CC è stato sottoposto a una forma particolarmente crudele di violenza nello stesso tempo fisica ( l’uso delle manette non giustificato né dal pericolo di fuga né da una pericolosità in atto) e morale, perché impedirgli in quel contesto l’uso della vista non può che provocare un profondo stato di angoscia e terrore per quello che potrà accadere.
Provoca ulteriore sconcerto rendersi conto che attorno al giovane ammanettato e bendato vi sono alcuni carabinieri, e cioè che il trattamento riservato all’arrestato è stato almeno inizialmente condiviso dal personale di quell’ufficio. L’esecutore materiale dei maltrattamenti è stato immediatamente trasferito e il comando dei carabinieri ha deprecato e condannato l’accaduto, ma rimane una profonda inquietudine nel constatare che in una stazione dei Carabinieri sia stato commesso un così grave abuso, di cui si è venuti a conoscenza in maniera poco trasparente, attraverso una fotografia non si sa da chi scattata e con quali modalità divulgata. Vi è da augurarsi che anche su questi aspetti l’Arma dei Carabinieri faccia piena luce, cancellando dalla sua immagine questa macchia. Sarebbe anche questo un modo per rendere omaggio alla memoria del Vicebrigadiere Mario Cerciello Rega.