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L’ultimo attacco lo scorso 10 dicembre a Jersey city contro un supermercato casher, quattro le vittime: un poliziotto, due ebrei ortodossi e un cassiere ecuadoriano.
Gli autori della strage, deceduti nella sparatoria con le forze dell’ordine, si chiamavano David Anderson e Francine Graham. Anderson era un membro dei Black Hebrew Israelites, una setta di suprematisti afroamericani che si crede l’unica discendente dalle sacre scritture, ritiene gli ebrei bianchi dei semplici usurpatori che hanno finanziato la schiavitù e che appartengono a una razza inferiore mentre la Shoah sarebbe poco più che una leggenda.
Il gruppo è noto sia alle autorità che ad associazioni anti- razziste come il Southern Poverty Law Center che appena lo scorso anno non lo riteneva capace istigare alla violenza. E invece tra le migliaia di adepti che si nutrono della grottesca propaganda dei Black Hebrew Israelites si annidano pericolosi fanatici, Nell’auto della coppia è stato ritrovato dell’esplosivo, l’appartamento di Anderson invece era pieno di scritti antisemiti in cui gli «avidi ebrei» sono accusati di controllare il governo se non addirittura di dominare il mondo.
Se, giustamente, i media americani evidenziano con forza l’escalation di atti razzisti e antisemiti da parte dei suprematisti bianchi legati all’alt- right, c’è molta più pigrizia e reticenza quando questi odiosi attentati provengono da membri della comunità afroamericana.
In particolare commentatori progressisti sembrano incartarsi nel classico circolo vizioso della propaganda incrociata: poiché i neri sono le vittime più frequenti di razzismo, sottolineare gli atti di intolleranza commessi da questi ultimi potrebbe corroborare la retorica della destra radicale. Sulla stessa falsariga del presidente Trump, discreto ai limiti del minimalismo quando a finire in cronaca sono i suoi ammiratori fan dell’America ariana, furente fino all’inquisizione quando capita ai neri, meglio ancora se di religione musulmana.
Come scriveva questa settimana sul New Yorker lo storico David Nirenberg. «Pensare che l’antisemitismo sia sempre colpa degli “altri”, che non possa per definizione appartenere al proprio gruppo politico è una cosa pericolosissima».
Se la maggior parte di attacchi contro gli ebrei americani proviene da ambienti legati al suprematismo bianco, nell’ultimo anno, specialmente nella regione di New York si sono verificate decine di atti ostili da parte di afroamericani.
Il vertiginoso aumento del mercato immobiliare a Manhattan e Brooklyn ha spinto migliaia di ebrei ultraortodossi a traslocare nella Huseon valley e nel New Jersey settentrionale dove ora convivono con una comunità nera molto radicata e una forte presenza dei Black Hebrew Israelites.
Tra la costruzione di nuovi appartamenti plurifamiliari in quartieri di case monofamiliari e di nuove sinagoghe, le dispute sulle tasse e i budget scolastici, la tensione è aumentata. Ma l’ondata di odio antisemita nella regione non può essere spiegata da ragioni socio- economiche.
La giornalista Jane Coaston è convinta che il conflitto comunitario non c’entri molto con la recrudescenza di giudeofobia, la quale sarebbe il frutto di una precisa ideologia: «Le teorie della cospirazione sono molto più diffuse di quanto si creda, gli autori degli attentati non sono mai dei normali cittadini esasperati, ma sempre delle persone imbevute di complottismo, che si tratti di suprematisti bianchi che di membri di gruppi antisemiti come i Black Hebrew Israelite».