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A inchiodare Matteo Salvini, sia pure con chiodi per ora di carta, sulla croce del processo per sequestro di persona, abuso d'ufficio e non so cos'altro, chiesto dal tribunale dei ministri di Catania per i 131 migranti bloccati a fine luglio nel porto di Augusta sulla nave Gregoretti, della Guardia Costiera, sarebbe una comunicazione già partita da Palazzo Chigi. Della quale si è affrettato a farsi forte nella polemica politica con l'ex alleato di governo il capo ancòra delle 5 Stelle e ministro degli Esteri Luigi Di Maio per contestare a Salvini di aver fatto tutto di testa sua con quel blocco, senza la copertura del governo fornitagli l'anno scorso, in occasione di una vicenda analoga occorsagli con la nave Diciotti, anch'essa della Guardia Costiera. E risolta dal Senato col no al processo.
La giunta senatoriale delle immunità, presieduta di diritto da un esponente dell'opposizione, in questo caso da Ignazio La Russa, avvocato peraltro di lunga esperienza, approfondirà sicuramente la questione prima di votare, il 20 gennaio, e formulare all'assemblea di Palazzo Madama la sua proposta di accoglienza o rigetto dell'autorizzazione al processo. Si vedrà naturalmente con quale tipo di maggioranza, e di sorpresa, essendo peraltro il passaggio finale doverosamente a scrutinio segreto, con tutte le incognite del trasversalismo politico e umorale, per non parlare d’altro.
Al di là delle precisazioni e smentite già opposte dall’avvocato ed ex ministro leghista Giulia Bongiorno, che si è subito assunta la regìa della difesa di Salvini, una circostanza già appare nella sua assoluta, incontrovertibile singolarità, a prescindere o al netto, come preferite, delle simpatie o antipatie che potrà procurarsi l’ex titolare del Viminale con i suoi abituali atteggiamenti e toni da sfida, di una intensità inversamente proporzionale alle distanze che lo separano dall'appuntamento elettorale di turno. Che stavolta, con le votazioni regionali del 26 gennaio in Calabria e in Emilia- Romagna, rischia di accavallarsi con la fase conclusiva e decisiva del percorso parlamentare della richiesta giudiziaria partita da Catania.
La circostanza è quella rivelata, sullo spinosissimo terreno della gestione degli sbarchi e, più in generale, del fenomeno migratorio, dal presidente del Consiglio in persona Giuseppe Conte. Che, sfiancato dalle continue polemiche col suo allora e ancora per un po' vice presidente del Consiglio e ministro dell'Interno, in un momento di spontaneità scambiato da qualcuno anche per una gaffe di Stato, si lamentò pubblicamente nella scorsa estate delle ore trascorse al telefono nei week con i suoi omologhi europei. Ai quali chiedeva ' il piacere personale' di prendersi in carico una parte dei migranti trattenuti sulle navi di soccorso dal blocco dei porti italiani disposto dal Viminale a tutela dei confini, della sicurezza e quant'altro.
In quel piacere ' personale' rivelato, vantato e quant'altro dal capo del governo c'era un po' tutto: non solo la stanchezza, magari anche le preoccupazioni espresse di volta in volta a Conte dal presidente della Repubblica, ma soprattutto l'ammissione di una situazione paradossale e scandalosa, diciamolo pure, di una comunità internazionale, cioè l'Unione Europea, incapace e nei fatti indisponibile, al di là delle parole di apertura apparente, a farsi carico spontaneamente, rapidamente e decentemente di un fenomeno scaricato sulle spalle, e sulle coste italiane, solo dalle circostanze naturali.
Il racconto del presidente Conte vale, anche ai fini del processo che torna a incombere sul collo dell'ormai ex ministro dell'Interno, e ora solo principale oppositore del governo, più di dieci, cento, mille sedute del Consiglio dei Ministri per certificare la natura complessa, multilaterale e quant'altro di una questione maledettamente pasticciata. Che, codice alla mano, può anche permettere ad un pubblico ministero o ad un giudice delle indagini preliminari, come si configura il cosiddetto tribunale dei ministri, di ipotizzare un sequestro di persone.
Ma sarebbe pur sempre un curioso sequestro: di persone regolarmente soccorse, assistite, visitate da curiosi e non, trattenute a bordo di navi sicure solo per il tempo necessario a stabilirne la destinazione, non certo verso i luoghi di prigionia e tortura da cui quella gente proveniva.
Tutto questo credo che possa e debba essere detto con tutta onestà, senza la pretesa - ci mancherebbe- di insegnare ai magistrati il loro mestiere nè al governo e a chi lo guida il loro, né di prenotarci al prossimo comizio di Salvini o manifestazione similare, magari all’insegna di diversi - presumodalle sardine. Basterebbe parlarne, e agire di conseguenza, rinunciando ai soliti interessi di bottega della politica e della campagna elettorale di turno.
Cioè, senza specularci sopra.