Forse non è una sorpresa per nessuno. E anche se ancora non c’è alcuna conferma ufficiale - arriverà domani -, quel che tutti avevano ipotizzato sembra ormai essere realtà: Michel Claise, ex giudice istruttore del caso “Qatargate”, ha deciso di lanciarsi in politica.

A dirlo è il quotidiano Le Libre, secondo cui il magistrato potrebbe candidarsi alle elezioni belghe con DéFi - partito centrista francofono che detiene due seggi al parlamento federale belga -, terzo della lista dietro al presidente François De Smet e dietro la deputata Sophie Rohonyi. Una candidatura, la sua, che servirebbe a realizzare il progetto lanciato dal partito proprio dopo gli arresti per la presunta corruzione consumata nelle stanze dell’Europarlamento, ovvero l’istituzione di una procura finanziaria indipendente specializzata nella lotta alla corruzione.

«La posta in gioco - si leggeva sui profili social del partito pochi giorni dopo gli arresti - non è altro che la salvaguardia della nostra democrazia, consolidando l’indipendenza dei poteri e quindi ridando fiducia e speranza alla politica». Claise, in quel momento storico, rappresentava il baluardo della lotta alla corruzione, infaticabile e inossidabile, ma soprattutto senza macchia. A metà del 2023, però, è arrivata la sua uscita di scena dal caso, a seguito della scoperta dei rapporti tra suo figlio e il figlio dell’eurodeputata belga Maria Arena, uno dei nomi più ricorrenti nel fascicolo, ma mai coinvolta ufficialmente, nonostante la chiamata in causa (poi rimangiata) del principale protagonista di questa vicenda, l’ex eurodeputato Antonio Panzeri, al quale, stando al dossier dei suoi avvocati, gli inquirenti chiesero di fare altri nomi, come quello dell’ex vicepresidente Eva Kaili. Secondo i servizi segreti del Belgio, però, Arena sarebbe stata un “anello” della rete di Panzeri. La donna si è difesa e ha dichiarato di aver presentato diverse richieste per essere ascoltata da Aurélie Dejaiffe, il magistrato che ha preso il posto di Claise. Ma nulla si muove, secondo quanto confermato dalla stessa a Le Monde.

La vicinanza di Claise a DéFi non è un mistero in Belgio. Non è passata inosservata, infatti, la presenza del magistrato all’ultimo congresso del partito a Louvain-la-Neuve a settembre. E se prima ha mantenuto il riserbo sulle sue intenzioni, ora che ha lasciato l’incarico di giudice federale per andare in pensione la strada è spianata. Nonostante la sua candidatura vada ancora ufficializzata, a confermare l’indiscrezione di La Libre è stata la deputata di Bruxelles Marie Nagy (DéFi), che ha commentato i rumors delle ultime ore con il quotidiano SudInfo. «Ci conosciamo da diversi mesi. Non so cosa aspetti il partito per ufficializzarlo», ha dichiarato.

Il mistero verrà chiarito nel giro di qualche ora. Claise, interpellato dai quotidiani belgi, ha preferito rinviare qualsiasi commento a dopo gli annunci ufficiali. Intanto il suo nome tiene banco anche in Italia. E dopo mesi di silenzio sulla vicenda, l’ex ministro della Giustizia e oggi deputato Pd Andrea Orlando ha presentato un’interpellanza al ministro degli Esteri e al Guardasigilli per chiedere chiarimenti sulle possibili violazioni dei diritti ai danni degli indagati italiani coinvolti nel caso. Partendo proprio dalla rinuncia di Claise al caso, che ha gettato più di un’ombra sulle indagini.

Ma al di là del conflitto d’interessi, sul quale sembrano esserci pochi dubbi, a impensierire il deputato dem sono soprattutto i metodi di indagine, contrari allo Stato di diritto. A partire dal coinvolgimento dei servizi segreti, che hanno di fatto spiato gli europarlamentari entrando in borghese nelle Commissioni parlamentari e violando la loro immunità, continuando, inoltre, ad indagare anche una volta che il fascicolo è stato trasferito all’autorità giudiziaria. Ma non solo: gli elementi sui quali fare chiarezza, secondo Orlando, sono molteplici. Come la confessione «estorta», a dire dei suoi legali, a Panzeri, in cambio di una pena lieve, il mantenimento del proprio patrimonio e della scarcerazione di moglie e figlia, i tre giorni insieme in cella di Panzeri e Francesco Giorgi, suo ex assistente parlamentare e marito di Kaili, proprio mentre i due stavano rilasciando dichiarazioni alle autorità, e le pressioni costanti per avere nomi dall’ex vicepresidente, al punto da arrivare ad ipotizzare l’affido della figlia ai servizi sociali.

Mentre l’inchiesta rimane impantanata - in attesa che vengano accertate le violazioni denunciate da Kaili di fronte ad un inerme Parlamento europeo -, Le Soir, in prima linea nella diffusione dei documenti dell’indagine, ha già prodotto un libro-sentenza sul caso, che verrà presentato il 6 febbraio. Il tutto mentre diverse fonti, secondo quanto riportato da Le Monde, parlano ormai di una fase di stallo che potrebbe portare anche ad abbandonare il procedimento.