Nessuna minaccia atomica o di qualsiasi rappresaglia, nessun riferimento al «genocidio» dei russi in Donbass, ma il rinnovo delle accuse alla Nato e la rivendicazione della scelta della guerra in Ucraina come «unica possibile» per difendersi dai piani occidentali d’invadere le «terre storiche» della Russia. Dopo oltre due mesi di ostilità, nel suo discorso per il V-Day oggi sulla Piazza Rossa di Mosca (qui il discorso integrale), il presidente Vladimir Putin ha inasprito i toni sulla minaccia alla sicurezza della Russia che ha motivato la decisione «necessaria» di lanciare «l’operazione speciale in Ucraina». Se nel discorso alla nazione con cui il 24 febbraio scorso ha annunciato l’invio di truppe in Ucraina Putin ha parlato di «minacce fondamentali contro il nostro Paese, create passo dopo passo da politici irresponsabili in Occidente», riferendosi all’espansione della Nato a Est, oggi è arrivato a sbandierare presunti «piani d’invasione delle terre storiche» russe, dal Donbass alla Crimea. Come a fine febbraio, Putin ha ricordato le proposte russe, a suo dire inascoltate, «per concludere un accordo sulle garanzie di sicurezza» inviate sia alla Nato che agli Usa. «La Russia ha invitato l’Occidente a un dialogo onesto, a cercare soluzioni ragionevoli e di compromesso, a tener conto dei reciproci interessi, ma tutto invano. I paesi della Nato non volevano ascoltarci, il che significa che in realtà avevano piani completamente diversi. E l’abbiamo visto», ha denunciato sulla Piazza Rossa. «Erano apertamente in corso i preparativi per un’altra operazione punitiva nel Donbass, per un’invasione delle nostre terre storiche, compresa la Crimea. A Kiev hanno annunciato la possibile acquisizione di armi nucleari. Il blocco Nato ha avviato lo sviluppo militare attivo dei territori a noi adiacenti». «Così è stata creata una minaccia per noi assolutamente inaccettabile direttamente ai nostri confini. Tutto indicava che uno scontro con i neonazisti, su cui puntavano gli Stati Uniti e i loro partner, sarebbe stato inevitabile», ha poi aggiunto oggi Putin, usando il termine che fin dal 2014 indica nella sua narrativa sia le autorità, che l’esercito e i militanti ucraini e utile per presentare la guerra in corso come una prosecuzione del Secondo conflitto mondiale. Il presunto appoggio occidentale a «neonazisti ed estremisti in Ucraina che non perdoneranno mai gli abitanti di Crimea e Sebastopoli per aver scelto la riunificazione alla Russia»,  era stato denunciato anche nel suo discorso di guerra a febbraio. La «sacralità» di un conflitto combattuto per difendere la sicurezza della patria, è stato il concetto di apertura del discorso di Putin al V-Day, in cui però - a differenza del 24 febbraio - non c’è stato alcun accenno al «genocidio di milioni di persone» che vivono in Donbass e «dipendono solo dalla Russia». Proprio l’accusa - mai provata - del massacro sistematico dei russi nell’Est ucraino è stato il motivo ufficiale del riconoscimento da parte del Cremlino delle due repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk, che andavano difese. Sulla Piazza Rossa, nessun appello o riferimento ai soldati ucraini - che anche loro da sovietici al tempo hanno contribuito alla sconfitta del Terzo Reich - mentre il leader del Cremlino ha omaggiato il contribuito degli Alleati alla sconfitta dei nazifascismo. Nel suo messaggio televisivo del 24 febbraio, Putin si era rivolto direttamente ai soldati delle forze armate di Kiev ricordando la lotta dei loro antenati contro Hitler e invitando a non permettere che «i neonazisti prendano il potere in Ucraina». «Non seguite i loro ordini, deponete le armi», era stato il suo appello mai ascoltato in Ucraina, dove invece volontari ed esercito continuano una strenua resistenza, sostenuti dagli aiuti occidentali. Anche oggi, il presidente russo ha definito l’operazione speciale militare come «una scelta obbligata, tempestiva e l’unica giusta». Nel giorno simbolo del patriottismo, Putin ha sottolineato «l’unicità» del modello russo contro il «degrado morale» dell’Occidente: «Non rinunceremo mai all’amore per la patria, alla fede e ai valori tradizionali, al rispetto per tutti i popoli e le culture. E a quanto pare, l’Occidente ha deciso di cancellare questi valori millenari. Tale degrado morale è diventato la base per ciniche falsificazioni della storia della Seconda guerra mondiale, incitando alla russofobia, elogiando i traditori». Nel tentativo di trasmettere al mondo l’immagine di una Russia compatta dietro il suo leader, nonostante i sacrifici che la guerra sta chiedendo al Paese, Putin ha dichiarato che «combattenti di diverse nazionalità sono insieme in battaglia, coprendosi a vicenda da proiettili e schegge come fratelli. E questa è la forza della Russia, la grande, invincibile forza del nostro popolo unito e multinazionale». Ha fatto un raro accenno al «dolore» per «la perdita di ogni soldato» in campo e, a differenza del suo discorso-dichiarazione di guerra, non ha lanciato alcuna minaccia all’Occidente. «Chiunque tenti di ostacolarci o di minacciare il nostro Paese o il nostro popolo, deve sapere che la risposta della Russia sarà immediata e porterà a conseguenze che non ha mai affrontato nella sua storia», aveva detto il 24 febbraio.