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La protesta è enorme e coinvolge gli ordini e gli organi politici di 2,3 milioni di professionisti. Che ora alzano la voce contro il governo, contestando la discriminazione ai loro danni contenuta nel decreto Rilancio. Bonus più bassi e finanziamenti off limits: è questa la beffa dell’ultima legge pensata per risollevare l’Italia dalla crisi. E la colpa dei professionisti sembra essere una soltanto: l’iscrizione agli enti di previdenza privati, ritenuti, di fatto, meno danneggiati dalle conseguenze economiche del Coronavirus. In attesa della pubblicazione del testo definitivo sulla Gazzetta ufficiale, l’ultima bozza a disposizione mostra, da un lato, un aumento delle risorse a disposizione - 3.912,8 milioni di euro per i bonus e 6.192 milioni per il contributo a fondo perduto -, mentre dall’altro restringe la platea dei destinatari, andando a colpire avvocati, commercialisti, notai e tutti gli altri professionisti. Il passaggio incriminato è racchiuso nell’articolo 25, che riconosce il contributo a fondo perduto del 10%-15%-20% ai soggetti esercenti attività d’impresa e lavoratori autonomi, titolari di reddito reddito agrario e di partita Iva, il cui fatturato del mese di aprile 2020 risulti inferiore ai due terzi dell’ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2019, nonché a coloro che hanno iniziato l’attività a partire dal primo gennaio 2019. Ed è al comma 2 che avviene l’esclusione dei professionisti: tra i soggetti non aventi diritto ci sono, infatti, anche tutti coloro che risultano iscritti agli enti di diritto privato di previdenza obbligatoria. Un passaggio ritenuto discriminatorio dalle rappresentanze istituzionali dei professionisti. A protestare sono il Consiglio nazionale forense, Il Consiglio nazionale consulenti del Lavoro e i Consigli nazionali di ingegneri, agronomi e forestali, agrotecnici, architetti, assistenti sociali, commercialisti, geologi, geometri, giornalisti , notai, periti, psicologi, doganali, tecnici alimentari, chimici, fisici, infermieri, ostetrici, tecnici sanitari e veterinari, che denunciano «una scelta inaccettabile, che dimostra una volta di più un atteggiamento sostanzialmente punitivo della politica nei confronti di un settore determinante per il sistema economico del nostro Paese che, esattamente come tutte le altre realtà del mondo del lavoro autonomo e dipendente, sta attraversando una fase di enorme difficoltà che necessita di un sostegno concreto da parte dello Stato. Avevamo - continuano - già denunciato la disparità di trattamento riservataci nel Dl Cura Italia. La modifica appena apportata al Dl Rilancio è una conferma della scarsa consapevolezza dei problemi di milioni di lavoratori. Ci batteremo per modificare questa norma e affinché ci sia un’equiparazione tra le misure per le imprese e quella per i professionisti. Gli Ordini e i Collegi professionali - concludono - chiedono al Governo un intervento per sanare questa evidente disparità di trattamento». E protestano anche i giovani avvocati di Aiga, che promettono battaglia in caso di un mancato adeguamento del testo. n attesa del testo ufficiale anche la politica si mobilita. Con Camillo D'Alessandro, capogruppo di Italia Viva in Commissione Lavoro alla Camera, che annuncia battaglia in Parlamento, e i parlamentari del dipartimento economia della Lega che parlano di «vendetta meschina e vergognosa del governo» contro le attività professionali, ree di aver «criticato» le misure del decreto Rilancio. «Lo Stato e i governi di turno dimenticano sempre e comunque che noi non solo provvediamo alla contribuzione relativa alle nostre fondazioni private, ma anche alla fiscalità generale, pagando anche la pensione di tutti gli altri - aggiunge Nunzio Luciano, presidente di Cassa Forense -. Dimenticano cioè categorie fondamentali per la crescita del nostro Paese. Un atteggiamento discriminatorio che non può trovare giustificazione. Esistono cittadini di serie A e cittadini di serie B e purtroppo i professionisti, alla luce di queste norme, sono cittadini di serie B». A rendere ulteriormente discriminatorio il decreto c’è infatti anche l’articolo 84, che da un lato conferma il contributo di 600 euro - già previsto dal Cura Italia -, ma dall’altro attribuisce, per il mese di maggio, un’indennità più alta, pari a non meno di mille euro, ai liberi professionisti titolari di partita iva iscritti alla gestione separata e «non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie», purché gli stessi abbiano subito una «comprovata riduzione di almeno il 33 per cento del reddito del secondo bimestre 2020», rispetto allo stesso periodo del 2019. Quindi solo i liberi professionisti iscritti all’Inps, con buona pace, anche in questo caso, di tutti gli altri.