Il primo caso di suicidio assistito in Lombardia riguarda Serena (nome di fantasia), una donna cinquantenne affetta da sclerosi multipla progressiva da oltre trent'anni. La notizia, diffusa dal Corriere della Sera e confermata dall’Associazione Luca Coscioni, riporta che la donna si è spenta nelle scorse settimane nella sua abitazione in Lombardia, dopo aver assunto autonomamente un farmaco letale fornito dal Servizio sanitario nazionale, insieme alla strumentazione necessaria.

Serena viveva una condizione di paralisi totale e necessitava di assistenza continua. Il suo caso è il primo in Lombardia e il sesto in Italia.

Suicidio assistito: il caso di Serena è il sesto in Italia

Dopo un’attesa di nove mesi, Serena è diventata la sesta persona in Italia (e la quinta seguita dall’Associazione Luca Coscioni) ad accedere alla procedura regolata dalla sentenza della Corte Costituzionale 242/2019, che trae origine dal caso Cappato/Antoniani. La procedura è stata completata con il supporto del Servizio sanitario nazionale, che ha fornito sia il farmaco necessario sia la strumentazione.

La donna aveva inoltrato la richiesta di verifica delle sue condizioni a maggio 2024 e, a fine luglio dello stesso anno, l’azienda sanitaria le aveva comunicato il rispetto dei requisiti stabiliti dalla Consulta: capacità di prendere decisioni libere e consapevoli, patologia irreversibile, sofferenze fisiche o psicologiche ritenute insopportabili dal richiedente e dipendenza da trattamenti di sostegno vitale.

Serena: «Ho amato la vita all’infinito, ora sono libera»

Nel suo ultimo messaggio affidato all’Associazione Luca Coscioni, Serena ha espresso il suo amore per la vita e la consapevolezza della propria scelta: «La mia breve vita è stata intensa e felice, l’ho amata all’infinito e il mio gesto di porre fine non significa che non l’amassi. Ho vissuto nonostante le mie difficoltà per tantissimi anni, come se questa malattia non fosse dentro di me. Ho affrontato la mia disabilità con rispetto e dignità. Quando però cominci a sentire la sofferenza, oltre a quella fisica, anche dentro l’anima, capisci allora che anche la tua anima deve avere il diritto di essere rispettata con la dignità che merita. Questo è ciò che nessuno può toglierti e non deve mai accadere… libera».

L’assistenza del medico di Piergiorgio Welby

Dopo l’approvazione da parte dell’azienda sanitaria e il riconoscimento dei requisiti stabiliti dalla sentenza Cappato, a novembre la stessa Asl non aveva ancora individuato il farmaco e la strumentazione per l’autosomministrazione. La responsabilità era così ricaduta sul medico di fiducia di Serena, che ha dovuto indicare il farmaco letale e la metodica necessaria.

Inoltre, l’azienda sanitaria non aveva fornito un elenco di medici disponibili ad assistere Serena nella procedura. L’assistenza è stata quindi garantita dal dottor Mario Riccio, anestesista e Consigliere generale dell’Associazione Luca Coscioni, noto per aver accompagnato Piergiorgio Welby nel 2006 e altri pazienti che hanno avuto accesso al suicidio medicalmente assistito.

Una volta ottenuta la relazione medica, Serena è stata seguita dall’avvocata Filomena Gallo e da un collegio legale. A dicembre, la Commissione di esperti e il Comitato Etico hanno confermato l’idoneità della richiesta e l’azienda sanitaria ha provveduto alla fornitura del farmaco.

Dopo aver scelto la data in cui procedere, Serena ha richiesto ufficialmente la consegna del farmaco approvato dalla Commissione aziendale. Il dottor Riccio ha ritirato la strumentazione il giorno stabilito e, successivamente, ha restituito i materiali da smaltire.

Serena ha potuto procedere con l’autosomministrazione del farmaco letale nel mese di gennaio 2025, nella propria abitazione, circondata dai suoi cari e assistita dal dottor Riccio. L’Associazione Luca Coscioni ha reso noto che tutto si è svolto nel pieno rispetto della volontà della donna, garantendole una morte dignitosa.