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Proprio come era avvenuto qualche giorno fa durante le audizioni nelle Commissioni, anche ieri tutti e tre gli esponenti delle categorie che operano nel mondo del diritto si sono schierate contro l’emendamento Bonafede. «È in atto un’aggressione ai principi fondativi processo penale, con una inversione di lettura della funzione sociale del processo. Per la maggioranza, è un luogo popolato da colpevoli, il cui esito deve intervenire senza ostacoli “perché altrimenti il furbo la fa franca”, senza rispetto della complessità e con un comportamento da censurare prima nel metodo che nel merito», ha detto Caiazza, che è invitato martedì prossimo in via Arenula dal Guardasigilli. «Ci ha chiesto proposte in materia di riforma del processo penale: una richiesta surreale. Diremo che è una pretesa incomprensibile e che serve commissione che ci lavori, perchè non si tratta di un concorso a premi». Poi, ha ribadito l’astensione dei penalisti italiani per quattro giorni della prossima settimana, che si chiuderà con una manifestazione nazionale al teatro Manzoni di Roma il 23 novembre. Sulla stessa linea anche Nordio. «Questo sciagurato emendamento è incostituzionale, perché confligge in modo palese con l’articolo 111 della Costituzione, di fatto lasciando la durata del processo nelle mani arbitrarie della magistratura. Non reggerebbe al vaglio della Corte costituzionale», ha esordito l’ex magistrato. Nel merito, poi, ha ragionato sul fatto che l’iniziativa è dannosa: «Siamo davanti a un caso di eterogenesi dei fini. L’obiettivo sembra essere quello di salvaguardare le vittime, che però sarebbero vittime due volte, poichè l’eventuale risarcimento alle parti civili interviene a sentenza definitiva, dunque sarebbe anch’esso rinviato a un futuro incerto». Dal punto di vista tecnico, ha sottolineato una «contraddizione di dilettantismo», perchè l’emendamento incide solo sulla prescrizione del reato e non su quella della pena. «Il codice prevede che la pena si estingue in media in dieci anni, per chi si sottrae volontariamente alla sua esecuzione. la norma, dunque, prevede che l’imputato assolto che subisce l’impuganzione del pm rimane sotto processo potenzialmente sine die, mentre il condannato che scappa si vede estinguere la pena dopo un tempo determinato. Sembra un invito all’evasione e alla latitanza» . Infine, ha lanciato una provocazione: posto che la direzione di questa riforma sia di attuare il processo accusatorio in stile anglosassone, allora «si importino anche gli altri principi di common law, che sono la garanzia di quelle democrazie liberali: la separazione carriere, la discrezionalità dell’azione penale, il divieto di reformatio in peius, la giuria popolare ricusabile, la ritrattabilità dell’azione e l’elettività dei pm». Infausti presagi per il futuro della riforma del processo penale sono stati, invece, evocati da Spangher. «La prescrizione è il primo passo di un fenomeno che però è maturato nel tempo: oggi sono saltati i corpi intermedi tra i quali anche avvocati e giuristi - è c’è un passaggio diretto tra le istanze del popolo e la classe politica», ha ragionato. Sull’onda di questo, «la maggioranza ha fatto diventare soggetto del processo anche pretesa punitiva della persona offesa, che non si accontenta più del risarcimento ma chiede anche punizione». Dunque, ha sottolineato il professore, l’unico modo per far comprendere all’opinione pubblica che danno sia questa riforma è quello di «puntare solo sul diritto alla ragionevole durata del processo, perché è un principio che garantisce sia l’imputato che la persona offesa, che così ha un elemento di certezza in termini di tempo».