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Il ministro della Giustizia Bonafede e il premier Conte
La cosa buffa dell’ennesimo day after sulla prescrizione è che la sospirata intesa non piace a nessuno. O quasi. Piace di certo a Giuseppe Conte che l’ha proposta, va bene tutto sommato al Pd che non era strafelice di mettersi all’opposizione di Salvini per una questione di principio sulla giustizia. Ma l’idea di ritoccare la riforma Bonafede nel senso di limitarla solo alle sentenze di condanna rischia di diventare problematica persino per il Movimento 5 Stelle. Ebbene sì, perché con un colpo di scena beffardo, poche ore dopo il sospiro tirato alla fine del vertice di giovedì sera, Piercamillo Davigo, ascoltatissimo dai grillini, regala con assoluta nonchalance il seguente epitaffio: «Limitare lo stop a chi in primo grado è condannato? Possono esserci dubbi sotto il profilo di precedenti pronunce della Consulta». Gelo. Non solo nel senso che il togato del Csm, dopo aver liquidato il lodo Conte, sistema così l’imputato impertinente che ricorre in appello: «Nel suo caso, l’argomento per cui senza prescrizione c’è il fine processo mai non ha senso: di che si lamenta se è lui che chiede un altro giudizio?» ( il diritto di difesa per Davigo è sempre come la bicicletta, l’hai voluto e pedala). No, il gelo paralizza per ore i 5 Stelle, che non diffondono alcun attestato di giubilo sullo sblocco del dossier giustizia. Fioccano le dichiarazioni delle opposizioni, in particolare di Forza Italia, che parla di «bestialità giuridica» ( Francesco Paolo Sisto) e di «obbrobrio» ( Enrico Costa). Fino a Renato Schifani, che preferisce optare per il «mostro giuridico di lapalissiana incostituzionalità» e aggiunge: «Il M5S materializza le sue suggestioni colpevolistiche, con il Pd che alla fine subisce e avalla il giustizialismo grillino».
Probabile che l’ex presidente del Senato colga nel segno. La quasi totalità dei giuristi vede nel lodo Conte sulla prescrizione un vizio di legittimità forse ancora più grave di quanto non fosse già nella norma Bonafede originale. Tanto è vero che l’Unione Camere penali continua a tenere sul tavolo l’ipotesi del referendum abrogativo, come l’Ocf, il cui coordinatore Giovanni Malinconico teme anche «una corsia preferenziale per gli appelli dei pm, con un’ulteriore disparità di trattamento». Si potrebbe citare persino il vero autore della proposta, Conte, ma non Giuseppe: si tratta di Federico, l’ingegnoso deputato- avvocato di Leu che in realtà aveva sguainato l’idea della prescrizione limitata alle condanne molto tempo addietro. Addirittura nella prima riunione di maggioranza sulla giustizia, a settembre. Ebbene, proprio lui, intervistato qualche giorno fa dal Dubbio sul rischio di violare la presunzione di non colpevolezza, aveva risposto «con un paradosso» che è comunque «meglio dimezzare lo spazio di probabile incostituzionalità...».
A essere davvero d’accordo con il lodo c’è forse solo l’Anm: lo propone da sempre e al recente congresso di Genova, in una mozione, ha ribadito di essere per rendere potenzialmente eterni solo i processi a chi in primo grado è condannato. Ora, proprio l’Anm sarà riascoltata dal guardasigilli Bonafede per gli ultimi dettagli sulla riforma penale, in particolare sul coté ordinamentale. A via Arenula si ipotizza di riallungare l’età pensionabile dei magistrati a 72 anni, ma già dal “sindacato” delle toghe filtra scetticismo sull’ennesima oscillazione della soglia. Certo è che il ministro si dice «pronto» ad arrivare con il corposo ddl penale, comprensivo anche delle riforme per il Csm, già al Consiglio dei ministri di martedì prossimo. Dovrà però fare in tempo a cucirci dentro la norma che sopprime la nuova prescrizione nei casi in cui in primo grado si è assolti. La sua idea, definita nel colloquio con il premier giovedì sera, è di aggravare comunque un po’ la sorte di questi ultimi, con il recepimento della proposta Pd: allungare di 6 mesi ( più altri 6 in caso di rinnovazione del dibattimento) la sospensione della prescrizione se il pm fa appello.
Si vedrà. Certo entreranno nella legge delega altre varie misure acceleratorie. Alcune ben note, come la digitalizzazione delle notifiche successive alla prima. Altre molto interessanti, di marca dem, come il controllo giurisdizionale del gip sull’effettiva tempestività con cui il pm iscrive l’indagato nel registro, in modo che la Procura non guadagni tempo indebito per le indagini con la scusa che non ha ancora ben individuato il responsabile dell’illecito. Antica richiesta dell’avvocatura. Che potrebbe vedere dei passi avanti anche su un altro, inatteso fronte, quello delle depenalizzazioni. Ma prima di verificare quanto misurerà il campo da gioco della riforma penale, bisognerà capire meglio se si è chiuso davvero il match sulla prescrizione. O se il fallo da dietro di Davigo rischia di riaprirlo.