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Le autorità dello Sri Lanka sono sicure, dietro la strage di Pasqua, nella quale sono rimaste uccise 290 persone e altre 500 sono state invece ferite, c’è la mano di un gruppo jihadista locale, il National Thowheed Jamath. L’attacco coordinato a chiese cristiane e hotel di lusso dunque sarebbe opera di un’organizzazione che già lo scorso anno aveva danneggiato alcune statue buddiste nell'isola.
Difficile dire se il National Thowheed Jamath fosse in grado di mettere in piedi un’azione così complessa e spettacolare, in questo senso fanno fede le parole del sottosegretario governativo Rajitha Senaratne per il quale è improbabile che «gli attacchi possano essere stati portati avanti solo da un gruppo di questo paese. C'è una rete internazionale senza la quale questi attacchi non sarebbero riusciti». Di tutto questo non esiste al momento evidenza, la tesi di un complotto arrivato da lontano potrebbe essere una mossa per allontanare le responsabilità dei servizi srilankesi i quali sarebbero stati avvertiti, dai colleghi stranieri, del pericolo di attentati, fin dal 4 aprile dagli. La polizia infatti non ha nascosto di aver ricevuto un allarme nel quale si evidenziava il pericolo di una vera e propria ondata di attacchi da parte dell’ NTJ, contro chiese e la sede diplomatica dell'India.
In mancanza di rivendicazioni ufficiali lo spazio è stato conquistato dalle ipotesi. Negli ultimi mesi si sarebbero moltiplicate le segnalazioni di una crescente opera di proselitismo da parte dell’Isis. La notizia dell’uccisione di due cittadini srilankesi, che combattevano con lo Stato islamico in Siria e Iraq, nel 2015, ha indotto il primo ministro a ordinare indagini su possibili influenze dell’IS nel paese, per sondare i livelli di radicalizzazione tra la minoranza musulmana. In realtà la presenza di formazioni del radicalismo islamico in tutto il subcontinente indiano risale già a qualche anno fa. Nel 2014, Ayman al- Zawahiri, annunciò la nascita di al- Qaeda in the Indian Subcontinent (Aqis), un coordinamento di diversi gruppi che avrebbe dovuto sviluppare la jihad in un territorio immenso che comprendeva anche Pakistan e Bangladesh. Nel mirino, l’esercito indiano, la polizia e organizzazioni indù. L’opera di proselitismo fa leva sull’atteggiamento del governo indiano nei confronti dei musulmani in Kashmir.
Quest’ultima è l’area principale nella quale si è concentrata l’ attenzione dei gruppi armati tanto da essere definita come nuova frontiera del terrorismo. Vi sono diverse formazioni che operano in India, tra i quali l’ Hizb- il- Mujahideen (Hm), Jaish- e- Mohammad (JeM) e gli Indian Mujaheddin (Im).
Accanto ad essi agiscono le emanazioni dello Stato Islamico che, sebbene sconfitto in Siria ed Iraq, qui continua a soffiare sul fuoco di conflitti preesistenti causati dalla povertà che affligge le popolazioni musulmane.
Anche l’Isis dunque ha tentato di infiltrarsi in Kashmir, al momento senza grande successo, attraverso il braccio politico creando la Wilayat Islamic State Jammu e Kashmir (Isjk). L’obiettivo dichiarato è quello dell’stituzione di uno stato islamico basato sulla legge della sharia.