PHOTO
Domani Conte chiederà al Parlamento l'autorizzazione per uno scostamento di bilancio pari a 55 mld di euro. Una richiesta ancora più urgente dopo la decisione di Fitch di declassarci a BBB-, a un passo dai titoli spazzatura. Nel complesso, di qui al 2038, lo scostamento previsto ammonta a 440 mld. Il voto delle Camere è necessario per procedere poi al varo del cosiddetto dl Aprile, che in teoria dovrebbe in effetti arrivare a stretto giro, questione di poche ore. Non è affatto detto che sia davvero così e anzi i pronostici sono infausti. E' possibile che Gualtieri tenti uno sprint finale, anche per evitare di varare a maggio un dl che si chiama “aprile” ma non è facile che ce la faccia.
Annunciato circa un mese e mezzo fa da Conte in Parlamento, il dl avrebbe dovuto vedere la luce subito dopo pasqua. Ha subito una serie di rallentamenti, giustificati con l'esigenza di vararlo insieme al Def. Il documento è arrivato. Il dl no. I ministeri litigano per l'allocazione e la suddivisione delle risorse, che sembrano ciclopiche ma nella situazione data, in tutta evidenza, non lo sono affatto.
Per molti piccoli imprenditori e per moltissime persone il ritardo implica conseguenze drammatiche e in qualche caso esiziali. Le voci che continuano a rincorrersi da una decina di giorni senza ancora trovare una conferma nero su bianco profetizzano un fondo di 10 mld per le aziende, diretto e senza passare per i prestiti bancari. Non è un particolare. Il “poderoso” dl liquidità, già varato, segue infatti una strada diversa da quella di quasi tutti i principali Paesi europei. Invece di versare direttamente liquidità passa per prestiti delle banche garantiti, ma solo al 90% sulla carta e un po' meno di fatto, dalle banche. Non si tratta di un dettaglio. In questo modo le banche devono procedere con l'esame della documentazione richiesta, che è copiosa. Non prestano ad aziende in difficoltà. Spulciano i bilanci per certificare che non ci siano stati debiti insoluti.
Possono rifiutarsi di aderire all'accorato appello del governo, e alcune lo fanno. Conclusione: i soldi arrivano, quando arrivano, tardi. Il rischio di non riaprire si impenna. Il dl in gestazione dovrebbe anche provvedere a quei 3 mld di persone rimaste escluse dal sussidio di 600 euro varato dal dl Cura Italia, che dovrebbero proprio con questo dl passare a 800, arrivato, sia pure in ritardo e con qualche clamoroso incidente, agli autonomi e alle partite Iva. Proprio su quel fondo, denominato Reddito di emergenza i partiti e i singoli ministeri litigano. Iv, ma anche una parte del Pd, insistono con il mantra «Bisogna creare lavoro dignitoso, non concedere sussidi indignitosi». In concreto: «Più soldi alle aziende meno agli squattrinati senza un soldo». La discussione è dotta ma, stando le cose come stanno, un po' surreale. In ogni caso il fondo per il Rem, sempre stando alle anticipazioni, dovrebbe aggirarsi sull' 1,2 mld. Meno della metà dei 3 mld promessi e, suddiviso in una platea composta da 3 mln di bisognosi, appena sufficiente per la mera sopravvivenza.
Poi ci sono i negozi e in particolare bar e ristoranti. Che non ce la possano fare senza almeno le spese fisse coperte dallo Stato è una ovvietà. Infatti non ce la faranno: secondo le previsioni chiuderanno, anzi non riapriranno, circa 35mila esercizi, con ricadute pesantissime anche sul fronte di quel lavoro nero o a singhiozzo che dovrebbe essere “salvato” con il Reddito di emergenza. Il dl rifinanzierà anche per 9 settimane le casse integrazione ordinarie. Quelle straordinaria però, nonostante il dl Cura Italia, ancora non è arrivata.
Anche solo da una rapida ricognizione pare quindi evidente che l'Italia sia chiusa oggi in una tenaglia composta da un lato dal virus, dall'altro dalla liquidità, o meglio da una carenza di liquidità che è già drammatica. In parte il segreto del Mes va rintracciato qui. Che comporti dei rischi e delle “condizionalità” è di fatto certo. Sulla carta la contropartita è esigua: 400 mln di interessi ogni anno, risparmiato grazie al tasso più vantaggioso. Ma quel che renderà probabilmente necessario per il governo ricorrere al Mes non è il basso tasso ed è solo in parte l'esigenza di non apparire ancora condizionato dalle pulsioni euroscettiche del primo governo Conte: è invece la rapidità con cui entrerebbero i 37 mld del prestito. Dovrebbero, sì, essere adoperati solo per le spese sanitarie, ma il concetto verrà poi certamente interpretato in maniera estremamente elastica. Anche l'eventuale ricorso alla nuova linea di credito del Mes sarebbe però solo un cerotto. Necessario per garantire liquidità nei tempi brevi ma certamente insufficiente. Per questo, nella partita del Recovery Fund, la voce principale saranno i tempi. Il conflitto tra chi vorrebbe che il Fondo fosse erogato in buona parte sotto forma di prestito e chi invece di sussidio senza obbligo di restituzione ha un notevole spessore reale ma può essere risolto mediando non solo sul basso tasso di interesse ma anche su una restituzione in tempi lunghissimi. Ma per i tempi dell'entrata in vigore effettiva non c'è mediazione possibile. Per l'Italia, come ha già fatto capire più volte Conte, quel finanziamento deve arrivare subito.