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«Non avevamo mai visto nulla di simile». L’associazione Antigone sceglie questa frase per iniziare il report che racconta un anno di Decreto Caivano. Un anno in cui i minori in carcere sono aumentati, senza dissolvere problemi e nubi che si addensano sopra il sistema carcerario minorile. Anzi, i problemi, scrivono i membri dell’associazione, sono pure aumentati. Senza che nulla sia stato pensato in termini di progetti educativi, piani di accoglienza, reintegrazione sociale. Una discarica sociale che ha un solo effetto: produrre nuova criminalità minorile, esacerbare i problemi.
Era stato chiaro, sul Dubbio, Girolamo Monaco, direttore dell’Istituto per minorenni di Treviso, uno degli Ipm più sovraffollati e, pertanto, in difficoltà, in Italia: «Siamo abituati a confondere la colpa con la responsabilità. Il carcere è lo specchio della società: se produce disagio, il disagio si manifesta. Ma per far sì che il carcere serva a qualcosa dobbiamo riempire i vuoti con valori e parole. I ragazzi chiedono di essere visti», aveva spiegato. Finora, però, nessuno sembra aver posato lo sguardo su questi giovani. La popolazione carceraria minorile è aumentata del 48 per cento in soli ventidue mesi, nonostante la criminalità minorile non abbia registrato picchi significativi. A metà settembre 2024, gli Ipm contano 569 giovani detenuti, con un tasso di ingresso che ha registrato una crescita del 16,4 per cento rispetto all’anno precedente.
La maggior parte degli ingressi è dovuta a misure cautelari, mentre il numero di minori condannati è in aumento, segno di un sistema che sta diventando sempre più punitivo e sempre meno educativo. Il sovraffollamento è uno dei problemi principali degli istituti minorili: in 12 dei 17 Ipm sparsi per il Paese, la capienza massima viene regolarmente superata, con punte di affollamento che superano il 180 per cento. A Treviso, appunto, ci sono 22 ragazzi per 12 posti, un tasso di affollamento del 183 per cento. Le condizioni di vita nelle strutture sono precarie: materassi sul pavimento, sezioni inagibili, e carenze strutturali, come la mancanza di frigoriferi e illuminazione in alcune sezioni. La situazione non solo mina il benessere fisico dei detenuti, ma contribuisce a generare tensione, con frequenti proteste e tentativi di evasione.
L’aumento dei minori in carcere, statistiche alla mano, è scattato successivamente all’approvazione del Decreto Caivano, come spiegato davanti alla Commissione Bicamerale per i minori da Antonio Sangermano, a capo del dipartimento per la Giustizia minorile del ministero.
«Dall’entrata in vigore del decreto Caivano, relativamente a ingressi e presenza media giornaliera, il numero è obiettivamente cresciuto, non può e non deve essere negato », ha sottolineato, aggiungendo solo secondariamente che i dati «vanno connessi anche ad altri fattori causali, come l’aggravarsi delle devianze minorili e l’enorme aumento di stranieri minori non accompagnati». Ma i minori non accompagnati c’entrano poco con questa storia e sono sempre i numeri a raccontarlo: al 15 settembre sono 266 i ragazzi e le ragazze stranieri detenuti negli Ipm, il 46,7 per cento dei presenti, ma con una percentuale in calo rispetto al 51,2% registrato a metà gennaio.
Il decreto Caivano, paradossalmente, è arrivato in un momento in cui i tassi di criminalità minorile si erano abbassati, stando alle statistiche: contrariamente all’immagine diffusa dai media, che raccontavano di un’invasione di baby criminali, nel 2023 i ragazzi denunciati e/o arrestati erano diminuiti del 4,15 per cento rispetto al 2022. E analizzando l’andamento a lungo termine, dal 2010 al 2023, il trend risulta «oscillante ma generalmente costante, senza aumenti esponenziali». Insomma, era necessario dare risposte al disagio, slatentizzato anche dal Covid, come evidenziato ancora da Monaco, ma si è scelto di rispondere ai fatti di cronaca con il pugno duro. «Il decreto Caivano spiegava ancora il direttore dell’Ipm di Treviso ha reso “carcerizzabili” reati che prima non prevedevano la custodia, come l’oltraggio pubblico ufficiale o il furto semplice». Ed ecco spiegato il trucco, assieme ad un altro dato: il decreto ha «abbassato i limiti edittali della richiesta di misure cautelari custodiali nel collocamento in comunità», come sottolineato ancora una volta da Sangermano, aumentando inoltre «le fattispecie che consentono l’arresto sempre facoltativo in flagranza. Il combinato disposto di questi elementi, unito all’eliminazione del termine di un mese per l’aggravamento della violazione della misura cautelare del collocamento in comunità, con conseguente collocamento della presenza negli Istituti penali per minorenni, ha oggettivamente prodotto un possibile incremento degli ingressi e delle presenze in Ipm».
In questo contesto, la vocazione educativa degli Ipm sembra essere svanita. Le attività scolastiche e di reinserimento sociale sono ridotte e la somministrazione di psicofarmaci, in particolare antipsicotici, è aumentata drasticamente. Molto più che per gli istituti per adulti. Un fenomeno che è sintomo del malessere crescente tra i giovani detenuti, molti dei quali soffrono di disturbi psichiatrici legati alla condizione di detenzione e alle esperienze traumatiche vissute. Il ricorso eccessivo ai farmaci non solo non risolve il problema, ma peggiora la situazione, impedendo il recupero delle potenzialità educative dei giovani.
Da qui l’aumento delle proteste nei confronti delle condizioni di detenzione, sempre più frequenti, tracimando spesso in atti di violenza, come incendi nelle celle e tentativi di evasione. In molti casi, questi atti sono reazioni dirette al trattamento inumano e alle condizioni di vita precarie, un tentativo di trovare ascolto in un sistema che sembra ignorare i minori reclusi. Ma queste proteste vengono spesso etichettate come “rivolte”, un termine che aiuta a non vedere il disagio e aiuta, anzi a punirlo: le nuove norme, infatti, portano con sé pene ancora più severe - fino a otto anni di carcere anche nella forma di resistenza passiva - «per giustificare un modello di carcerazione minorile sempre più simile a quello degli adulti: chiuso, sovraffollato, violento», scrive ancora Antigone.
Le conclusioni dell’associazione sono drastiche: il Decreto Caivano ha acuito i problemi, interrompendo i percorsi educativi e di recupero e mettendo in discussione l’efficacia di un sistema che dovrebbe essere orientato alla riabilitazione. Una scelta che ha reso più difficile il reinserimento sociale dei giovani, con un aumento della frustrazione tra i detenuti e una crisi di fiducia nelle istituzioni.