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Il 14 dicembre del 1900 il Parlamento approva una apposita legge di amnistia per tutti i reati comunque collegati o collegabili al caso Dreyfus.
Il 22 dello stesso mese Zola tuona ancora una volta con questo articolo che, da un certo punto vista, rappresenta una sorta di summa della sua posizione pubblica.
Da questo scritto, molto articolato, è possibile estrapolare alcuni punti che meritano adeguata riflessione.
Innanzitutto, Zola bolla l’amnistia come semplice ma terribile manifestazione della volontà di insabbiare il caso Dreyfus. E dunque, proprio gli organi rappresentativi del popolo francese, il parlamento e il governo, proprio loro che avrebbero dovuto trarre un importante insegnamento, hanno invece preferito chiudere entrambi gli occhi, insabbiando tutto nel dimenticatoio.
Insomma, quasi peggio della Grazia già elargita a Dreyfus. In questo modo, non solo si condanna ulteriormente Dreyfus – in quanto l’amnistia presuppone che il reato sia stato commesso e lo sia stato proprio da quegli imputati – ma si deturpa la giustizia, umiliandola ancora una volta e gravemente. Si persiste nello scempio del diritto e delle istituzioni repubblicane, come nulla fosse accaduto.
Questa amnistia infatti serve soltanto a coprire, senza peraltro riuscirvi, ciò che Zola definisce il “crimine assoluto”, la condanna, reiterata, di un innocente. E dopo la seconda incomprensibile e grottesca condanna di Rennes, invece di ricorrere in Cassazione – come si poteva e doveva – si preferì elargire prima la Grazia a Dreyfus e poi l’amnistia a tutti coloro che sia pure indirettamente con il caso avevano avuto qualcosa a che fare.
La polvere sotto il tappeto. In secondo luogo, Zola stigmatizza quanto sia illusorio ritenere che l’amnistia possa godere di una efficacia pacificatrice delle contese asperrime nate dal caso Dreyfus. Al contrario, essa non fa che perpetuare il disordine sociale nato da quella vicenda, senza in realtà pacificare nessuno.
Anzi. Dal momento che l’amnistia è dettata dal senso di impotenza e di debolezza, mai potrà condurre alla pace. Solo la giustizia feconda la pace.
Non basta.
Zola polemizza intensamente con chi non perde occasione per denunciare che la vicenda Dreyfus ha fatto molto male alla Francia, mettendone in luce mancanze e contraddizioni. Ragion per cui sarebbe stato meglio che esso non fosse mai accaduto.
Al contrario, Zola è fermamente convinto che la vicenda di Dreyfus, per quanto dolorosa e dotata di una grande capacità divisiva, rappresenti per la Francia una sorta di benefica crisi di crescita e di affermazione repubblicana.
Zola sa bene insomma che prima che il caso deflagrasse con tutta la sua forza dirompente, sotterraneamente agivano in Francia, da decenni, le forze del militarismo, dell’antisemitismo, del nazionalismo; ma ciò accadeva in modo pressoché silente e perciò molto pericoloso per le istituzioni repubblicane, ancora giovani e fragili.
L’esplosione del caso Dreyfus, invece, ha necessitato di portare alla luce la posizione di tutti coloro che intendevano fare di quelle ideologie una miscela venefica, capace di minare dall’interno la libertà e la forza del popolo francese. Ed è noto, grazie alle osservazioni già in precedenza fatte, che una volta che i meccanismi persecutori vengano portati alla luce, essi si depotenziano, lasciandosi valutare per quello che in effetti sono: persecuzione e non processo di diritto; ideologia e non verità; guerra sociale e non pace.
Paradossalmente, nonostante il suo enorme carico di dolori e di sofferenze, il caso Dreyfus è allora servito – secondo Zola – a purificare la Francia, a rendere noto a tutti che militarismo, nazionalismo e antisemitismo non rappresentano che un ritorno al passato; un passato di cui la Francia non sente il bisogno.
Questo passato non va rivissuto, neppure nel ricordo. Questo passato va seppellito definitivamente. Ne va delle sorti della Francia, per Zola. Della stessa Europa, per noi.