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'Contro la pena di morte viva. Per il diritto a un fine pena che non uccida la vita': questo il titolo del convegno organizzato da Ristretti Orizzonti, diretto da Ornella Favero, venerdì scorso nella casa di reclusione di Padova. Dunque l’ergastolo al centro della discussione, soprattutto l’abolizione di quello ostativo, ovvero la pena perpetua, prevista dall’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario, che viene comminata a chi si è macchiato di delitti particolarmente gravi, relativi, per la gran parte delle volte, a fatti di criminalità organizzata e terrorismo. Il solo modo che questi condannati hanno per uscire dal carcere è la collaborazione con lo Stato - in pratica divenire dei pentiti - a meno che essa non sia impossibile o inesigibile. «Dopo 25 anni da quel tragico 24 gennaio ho incontrato la persona che ha fatto parte del commando che ha ucciso mio padre» racconta Sabina Rossa, figlia di Guido, sindacalista ucciso dalle Brigate rosse nel 1979, «oggi è un uomo libero» prosegue «è una persona completamente diversa da quella di allora. Giustizia è proprio prendere atto che dopo tanti anni dai fatti criminosi le persone cambiano». Anche se con un messaggio scritto, le fa eco Agnese Moro, figlia di Aldo: «L’ergastolo uccide la speranza di esseri liberi, le persone sono più del loro reato». E il concetto di speranza è altresì al centro di quasi tutti gli interventi dei detenuti, ergastolani o condannati a pene molte lunghe: «Senza speranza è difficile il cambiamento, si vive nel vuoto, si regredisce, soprattutto se vieni condannato all’ergastolo quando hai 20 o 30 anni» dice Gaetano Fiandaca. Proprio ai detenuti del carcere di Padova è arrivato un messaggio di Papa Francesco: «Mi pare urgente una conversione culturale dove non ci si rassegni a pensare che la pena possa scrivere la parola fine sulla vita; dove si respinga la via cieca di una giustizia punitiva e non ci si accontenti di una giustizia solo retributiva; dove ci si apra a una giustizia riconciliativa e a prospettive concrete di reinserimento; dove l’ergastolo non sia una soluzione ai problemi, ma un problema da risolvere. Perché se la dignità viene definitivamente incarcerata, non c’è più spazio nella società, per incominciare e per credere nella forza rinnovatrice del perdono».
Anche per Mauro Palma, Garante nazionale dei detenuti: «l’ergastolo corrisponde all’annientamento dell’individuo. Purtroppo su questo argomento la responsabilità istituzionale si abbandona, per motivi di consenso, all’emotività dell’opinione pubblica». Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte Costituzionale, dopo aver ribadito che egli ha cambiato idea sull’ergastolo solo grazie ad Alessandro Margara, il magistrato che trattava i detenuti come uomini, l’ispiratore della riforma penitenziaria, scomparso lo scorso luglio, mette invece in luce i quattro paradossi sul fine pena mai e sulla detenzione in generale: l’espres- sione “fine pena mai” è incostituzionale perché viola l’art. 27 della Costituzione per cui le pene devono tendere alla rieducazione del condannato. Il secondo paradosso riguarda il fatto che la pena deve essere solo limitazione della libertà e si deve evitare di aggiungere alla sofferenza della detenzione ulteriori sofferenze in nome della sicurezza, come il 41bis o la condizione di sovraffollamento. Il terzo paradosso consiste nel fatto che è stato abolita la pena di morte, pur tuttavia, ricorda Flick, in carcere si continua a morire ad esempio per malasanità o per violenza. L’ultimo paradosso riguarda la custodia cautelare, «una pena senza processo, senza condanna che diviene omaggio al principio della paura». Proprio sul 41bis è intervenuto il senatore Luigi Manconi, chiarendo che in nessuna parte del nostro ordinamento esso è presentato come carcere duro. Il suo unico scopo è quello di interrompere i contatti tra i detenuti e l’associazione criminale, mentre oggi il 41bis si è tramutato ' in un carcere fuori legge'. Alla giornata di dialogo hanno partecipato anche l’ex magistrato Gherardo Colombo, il sottosegretario alla giustizia Gennaro Migliore, Renato Borzone, responsabile dell’Osservatorio Informazione giudiziaria dell’Unione Camere penali, Rita Bernadini per il Partito radicale, e molti altri parlamentari, esponenti delle istituzioni e esperti di diritto. Tutto il convegno è riascoltabile su Radio radicale.