L’elezione alla Camera e al Senato di molti avvocati è una garanzia per la qualità degli interventi legislativi da realizzare. Ne è convinto Gaetano Pecorella, già presidente delle Camere penali e parlamentare per quindici anni (dal 1998 al 2013).

Presidente Pecorella, anche in questa legislatura la presenza degli avvocati è prevalente rispetto alle altre professioni. Si conferma il carattere poliedrico dei legali che trovano il gradimento degli elettori?

Credo che sia utile ricordare quanto disse Robespierre: “Abbiamo fatto la Rivoluzione per mandare gli avvocati in Parlamento”. In effetti, lo stesso Robespierre era un avvocato. Stiamo parlando, a proposito della presenza degli avvocati nelle istituzioni, di un fenomeno che non è recente. Anzi. È opportuno sempre ricordare che in Parlamento si fanno leggi. Le persone più adatte per farle sono sicuramente gli avvocati e i professori universitari nelle varie materie giuridiche, visto che tante volte assistiamo ad interventi di persone che non sanno niente di diritto, che vanno fuori dal sentiero effettivo delle conoscenze giuridiche

L’approdo in Parlamento per gli avvocati è, dunque, una tappa naturale?

Direi proprio di sì. È come se ci meravigliassimo di vedere i medici negli ospedali. Chi sa fare bene un certo lavoro è bene che lo eserciti pure alla Camera e al Senato. Inoltre, gli avvocati sono dei liberi professionisti e possono affrontare la campagna elettorale con più libertà. Ci sono alcune ragioni che portano, secondo me, i responsabili dei partiti a orientarsi spesso sugli avvocati. Non mancano, però, alcune volte ragioni meno nobili, come quella di mettere il proprio avvocato in Parlamento. Io ci tengo molto a chiarire che sono entrato in Parlamento prima di essere avvocato di Silvio Berlusconi.

Le competenze degli avvocati sono preziose nel processo legislativo. Ci sono degli aneddoti che ricorda in maniera particolare rispetto alla sua esperienza romana?

Sono stato presidente della Commissione Giustizia e della Commissione bicamerale di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti. Gli apporti conoscitivi e culturali più interessanti sono sempre venuti o dagli avvocati o dai magistrati. Per parlare di giustizia ci deve essere qualcuno in grado di conoscere i sistemi giuridici e i vari rami del diritto. È un bene che proprio nella Commissione Giustizia ci siano avvocati e magistrati.

La presenza dei magistrati in Parlamento, quando lei era alla Camera, ha permesso di instaurare un rapporto collaborativo, senza sospetti o diffidenze reciproche?

Nel momento in cui si entra in Parlamento, ci si deve dimentica, sotto certi versi, di essere avvocati o magistrati. Di regola non c’era uno scontro come avviene in aula o come avviene nelle polemiche pubbliche. I magistrati e gli avvocati, ricordo, erano tutti impegnati a fare buone leggi. Io ho vissuto un periodo particolare, perché Berlusconi, negli anni in cui ero deputato, si trovava sotto processo. Le polemiche non mancarono. In riferimento ad alcuni interventi normativi si pensava che fossero diretti ad agevolare lo stesso Berlusconi. Di regola, però, su tutte le altre leggi, c’è sempre stata una serena collaborazione e un rispetto reciproco. La XIX legislatura conta 72 deputati avvocati e 42 senatori avvocati. C’è da ben sperare per gli interventi rivolti a tutta l’avvocatura? Credo che occorra essere molto pragmatici. In realtà le decisioni politiche non vengono prese dagli avvocati e di solito neanche dagli altri professionisti. Sono i dirigenti politici, i responsabili dei partiti a tracciare la rotta. Gli avvocati, tutt’al più, hanno il compito di aprire una discussione prettamente tecnica. Le scelte politiche nella maggior parte dei casi sono quelle decisive per quanto riguarda il presentare una legge, votarla a favore o contro.

Nella precedente legislatura abbiamo avuto due ministri della Giustizia, Bonafede e Cartabia, provenienti dall’avvocatura il primo, dall’Università e dalla Corte Costituzionale la seconda. Come valuta la loro esperienza governativa?

La professoressa Cartabia ha inciso per la sua grande esperienza accademica e cultura giuridica. Una studiosa di altissimo livello. L’esperienza dell’ex ministro Bonafede è stata criticata non poco. Le leggi che proponeva non trovavano d’accordo neanche gli avvocati. Ci sono avvocati, ricollegandomi al ragionamento di poco fa, che nel momento in cui sono in Parlamento dimenticano di esserlo. Questo può dipendere dalle direttive del partito di appartenenza o perché quest’ultimo deve avere e conservare una certa immagine pubblica. L’ex ministra Cartabia, pur non stravolgendo o non facendo grandi riforme, ha fatto interventi tecnicamente apprezzabili.

L’unico avvocato leader di partito è Giuseppe Conte. Per la politica si tratta di una indicazione positiva o negativa?

Secondo me, sarebbe meglio che il presidente o il capo di un partito abbia una sua storia politica dietro le spalle, come avvenuto per i grandi leader precedenti a quest’epoca. Tutti si lamentano affermando che la politica è morta e che non ci sono grandi politici. Ma è bene ricordare che i grandi politici non sono nati sotto il cavolo, come pensano i bambini. I grandi politici sono nati con una storia politica personale, che aveva come punto di partenza la frequentazione delle sedi di partito, partendo dal poco per arrivare poi ai vertici. Aldo Moro o Enrico Berlinguer non sono nati all’improvviso. Conte non ha una storia politica, è evidente. È diventato presidente del Consiglio non perché venisse fuori da una esperienza di partito. Bisognerebbe tornare alle Frattocchie, alle scuole di partito e costruire dei politici di valore come avvenuto, nel passato, in tutti i partiti.

In via Arenula è arrivato un altro giurista di spessore, Carlo Nordio. Cosa si aspetta dal nuovo ministro della Giustizia?

Conosco bene e stimo da tempo il dottor Nordio. È un uomo colto, che ha sempre difeso i diritti della persona e si è sempre espresso a favore della separazione delle carriere, punto decisivo di qualunque riforma. Ci aspettiamo da Nordio grandi interventi. La sensazione di questo momento è che sia stato un po’ imbalsamato. Le scelte che fanno comodo al partito non le fanno fare a lui, ma a un prefetto o a un altro ministro. La nomina a ministro della Giustizia di Nordio è per l’avvocatura un buon segno. Speriamo che lo lascino lavorare e che abbia gli spazi che merita per agire.