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Se le riforme annunciate dal ministro della Giustizia Carlo Nordio producono come effetto immediato l’allargamento al Terzo polo della maggioranza, resta da chiedersi come influiranno sugli equilibri delle opposizioni. Pd e Movimento 5 Stelle, al momento, sembrano viaggiare su una lunghezza d’onda del tutto simile: quelle del Guardasigilli sono misure contraddittorie e potenzialmente pericolose. Un atteggiamento comprensibile da parte dei grillini che hanno fatto della lotta alla corruzione a suon di manette tintinnanti il loro tratto caratterizzante, praticamente l’ultima trincea ancora in piedi dai tempi del Vaffa- Day. Meno chiara invece la visione del Pd, al cui interno convivono da sempre anime opposte, che in attesa della battaglia congressuale sembra aver deciso di condurre sotto traccia una guerra d’affiancamento all’ex alleato.
Le opposizioni così si ricompattano non solo, o forse non principalmente, sul tema della lotta alla corruzione (e degli strumenti investigativi per stanarla, a cominciare dalle intercettazioni) ma soprattutto sul fortino della salvaguardia dell’autonomia delle toghe. Perché quando si tratta di rimettere mano all’assetto della magistratura al Pd scatta quasi automaticamente quel vecchio riflesso girotondino che lo spinge in piazza a difesa dei pm senza se e senza ma. «La relazione del ministro Nordio in commissione Giustizia è stata, per me, deludente, contraddittoria, con alcuni contenuti inaccettabili», ha detto due giorni fa il senatore dem Walter Verini dopo l’illustrazione delle linee programmatiche di via Arenula.
«Nordio avrebbe dovuto offrire terreni di condivisione per applicare le riforme approvate nella scorsa legislatura, sperimentarle concretamente, fornire al più presto mezzi e strumenti per una giustizia più rapida, efficace, giusta e rispettosa di garanzie di indagati, imputati, vittime di reati», ha aggiunto Verini. Per l’esponente del Pd il ministro ha «introdotto temi divisivi, dando anche l’impressione di avere dimenticato il fallimento popolare dei referendum sui temi della giustizia e la necessità di superare la troppo lunga fase nella quale la giustizia è stata il principale terreno di scontro politico».
Ma proprio perché l’era politica di cui parla Verini (da Tangentopoli al berlusconismo) è ormai alle spalle, sarebbe finalmente possibile intavolare una discussione laica sulla giustizia abbandonando le ridotte ideologiche dell’una o dell’altra parte. Invece la contrapposizione sembra ancora inevitabile. Centrodestra da un lato, centrosinistra dall’altro.
Solo che oggi a guidare le folle che un tempo avrebbero seguito il Pds in piazza è Giuseppe Conte, che ha gioco facile nel dire a proposito di Nordio: questa «visione della giustizia ci riporta a disegni di qualche decennio fa delle forze di destra e centrodestra. È assolutamente irragionevole fare passi indietro dopo che abbiamo fatto una legge “spazza corrotti” contro la corruzione, perché i reati più gravi contro la pubblica amministrazione sono spesso collegati alla mafia degli appalti e alla criminalità organizzata. Depotenziare quello strumento è un irragionevole ritorno al passato». Non solo: «Si vogliono limitare le intercettazioni e le altre misure come la figura del pm che deve soggiacere alle direttive politiche. Noi siamo fermamente contrari», dice Conte, prima di lasciarsi sfuggire una frase spiazzante: «Ci accusano di giustizialismo, in realtà noi siamo per la separazione delle carriere».
Sembra l’annuncio di una nuova svolta del M5S, ma dallo staff dell’ex premier ci assicurano: «Si è trattato di un lapsus, il presidente intendeva dire “separazione dal potere politico”». L’asse col Pd - che pure due giorni fa si è distinto per l’ok all’Odg di Enrico Costa che impegna il governo a vigilare sull’esistenza di un interesse pubblico che giustifichi conferenze stampa e comunicati degli organi inquirenti - è salvo. E ciò che non può la difesa del Reddito di cittadinanza - unire nella stessa piazza due forze progressiste forse lo potrà la giustizia. Anche se di progressista in questa battaglia c’è ben poco.