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Mohammad Abu Tawileh è un meccanico di Gaza che non ha mai avuto rapporti con Hamas né una grande simpatia politica per il movimento islamista. È stato arrestato dalle forze di sicurezza israeliane nel marzo 2024 e rilasciato lo scorso mese dopo l’accordo sul cessate il fuoco e lo scambio di prigionieri.
Assieme ad altri quattro palestinesi catturati nella Striscia Tawileh ha raccontato ai giornalisti della Bbc i dettagli del suo anno di detenzione, dettagli da film dell’orrore che la testata britannica ha documentato in un lungo reportage. Durante gli interrogatori in cui ha sempre negato di far parte di Hamas i militari israeliani lo hanno torturato con metodi barbari: «I soldati hanno mescolato sostanze chimiche usate per la pulizia in una pentola dove mi hanno immerso la testa. Mi hanno colpito ripetutamente con dei pugni, sono caduto sul pavimento disseminato di macerie, ferendomi all'occhio».
Per ottenere una confessione gli aguzzini sono poi passati a metodi più estremi: «Ero legato a una sedia e hanno usato un deodorante per ambienti con un accendino per darmi fuoco alla schiena. Mi sono dimenato come un animale nel tentativo di spegnere le fiamme che si sono diffuse dal collo alle gambe mentre mi colpivano ai fianchi con i fucili e mi versavano dell’acido sulla testa che poi è sgocciolato in tutto il corpo. Alla fine mi hanno versato un secchio d’acqua sul corpo e portato in una struttura medica».
Ma il calvario del meccanico palestinese non è finito; nell’ospedale da campo nella caserma di Sde Teiman, la base dell’Idf a pochi chilometri da Beersheba Tawileh dove si è consumata la gran parte delle sevizie, è stato ammanettato senza vestiti a un letto con un pannolino. Contattati dalla Bbc alcuni medici israeliani confermano che ammanettare i pazienti palestinesi e costringerli a indossare pannolini è una routine. Oggi Tawileh è un uomo libero ma il suo corpo è martoriato dalle torture: ha subito diverse operazioni per innesti di pelle e rischia di perdere la vista a causa delle sostanze chimiche che gli hanno versato negli occhi.
La Bbc ha chiesto alle Forze di difesa israeliane (IDF) e all’Israel Prison Service (IPS) se i prigionieri fossero accusati di reati specifici ma non ha ricevuto alcuna risposta; le autorità militari israeliane, a cui i giornalisti hanno offerto diritto di replica, hanno negato che gli abusi sui detenuti siano una prassi sistematica senza però smentire le accuse specifiche dei cinque prigionieri.
Ognuno di loro racconta di essere stato spogliato, bendato, ammanettato e picchiato con ferocia. Alcuni dicono anche di aver subito scosse elettriche, di essere stati minacciati dai cani (una pratica proibita dalla legge israeliana) e di essere stati privati dell’accesso alle cure mediche per intere settimane. C’è chi dice di aver assistito alla morte di altri prigionieri, probabilmente dei miliziani di Hamas, chi a degli abusi sessuali.
Abdul Karim Mushtaha, 33 anni, dipendente di una macelleria di pollame, è stato arrestato nel novembre 2023 mentre stava lasciando il nord di Gaza con la sua famiglia a seguito dell’ordine di evacuazione disposto da Israele. Un rapporto depositato dal suo avvocato denuncia «gravi percosse, umiliazioni e trattamenti degradanti dal suo arresto fino al trasferimento in prigione». Nel corso degli interrogatori Mushtaha ha ripetuto di non avere alcun legame con Hamas, altrimenti avrebbe lasciato il nord della Striscia attraverso i cunicoli costruito dal gruppo terrorista e non seguendo le indicazioni dell’Idf. La sua fermezza nel negare le accuse ha fatto innervosire i carcerieri che lo hanno percosso per tre giorni di seguito. «Quando dicevo di avere freddo mi gettavano addosso l’acqua gelata e accendevano un ventilatore per aumentare l’effetto».
Un altro ex prigioniero, che si fa chiamare Omar (un nome fittizio) per paura di rappresaglie, afferma che oltre alle percosse i soldati israeliani gli hanno sputato addosso, chiamandolo «figlio di maiale» e hanno minacciato di uccidere tutti i membri della sua famiglia. Il 44enne Hamad al-Dahdouh ha spiegato che i pestaggi nella base di Sde Teiman erano durissimi e sistematici: «Ci colpivano sulla testa e nelle parti più sensibili come gli occhi le orecchie con barre di ferro, il calcio del fucile e pistole elettriche, nel frattempo dagli altoparlanti usciva musica israeliana a tutto volume». Prima della guerra al-Dahdouh era un contadino, oggi non è più in grado di lavorare nei campi a causa delle lesioni alla schiena e di una grave frattura alla gabbia toracica da cui non sa quando si rimetterà.
Questi orribili racconti sono in linea con le testimonianze fornite da altri palestinesi al gruppo israeliano per i diritti umani B’Tselem e alle Nazioni Unite, che a luglio hanno dettagliato i resoconti dei detenuti di ritorno a Gaza che durante la prigionia sono stati spogliati nudi, privati di cibo, sonno e acqua, sottoposti a scariche elettriche e ustionati con sigarette. L’Idf aveva categoricamente respinto le accuse, precisando però che sarebbe stata aperta un’inchiesta per accertare i fatti.