La macchina della repressione, della censura e dell’arbitrio giudiziario non si ferma un attimo nella Russia di Vladimir Putin, impantanata nella guerra in Ucraina che è anche un “conflitto interno” contro qualsiasi voce osi criticare la ormai ex “operazione speciale”. A farne le spese è chiaramente la libera informazione come dimostra il caso di Sergei Mikhailov, un giornalista siberiano condannato ieri a otto anni di carcere perché, secondo la classica accusa, «aveva diffuso intenzionalmente false informazioni sull'esercito russo».

I pubblici ministeri di Gorno-Altaysk, una città nella regione meridionale dell'Altaj che si trova ai piedi dell'omonima catena montuosa, hanno sostenuto che il 48enne sarebbe stato spinto a scrivere articoli contro l’invasione dell’Ucraina dal suo da «odio politico».

Il tribunale ha anche imposto un divieto di quattro anni sulle attività giornalistiche ed editoriali di Mikhailov.

Ecco i fatti: il giornalista ed editore di Listok, era stato arrestato nel 2022 vicino a Mosca per aver pubblicato sul canale Telegram e sul sito web del suo giornale online, notizie sulla strage di civili a Bucha, a nord-ovest della capitale ucraina Kiev, e molte altre informazioni sui bombardamenti e le uccisioni nella città sud-orientale di Mariupol. Eventi che in entrambe le città ucraine hanno rappresentato alcuni dei punti piu tragici dell'invasione russa.

Il giornalista ha negato qualsiasi illecito e la sua difesa dovrebbe far conoscere il suo modo di procedere la prossima settimana. Al momento Mikhailov continua a sostenere la linea dei suoi reportage nei quali ha sempre denunciato le politiche del Cremlino, l'invio di truppe in Ucraina e il bombardamento delle città.

In particolare il giornalista ha lanciato diverse bordate contro la propaganda russa, che con la sua narrativa sulla leadership di Kiev, definita fascista, ha «creato un intero universo virtuale nello spazio dell'informazione, e questa nebbia è diventata sempre più forte».

Il lavoro rivendicato dal cronista è stato quello di diradare questa nebbia in modo che i «lettori non fossero sedotti dalle menzogne, in modo che non prendessero parte a conflitti armati, non diventassero assassini e vittime e in modo che non danneggiassero il fraterno popolo ucraino».

Vladimir Putin ha rafforzato la morsa del regime sulla libertà dei media e sulla libertà di espressione negli ultimi dieci anni, la repressione del dissenso si è quindi ulteriormente intensificata drammaticamente dall'inizio della guerra.

Tre mesi dopo l'invasione, il Cremlino ha ampliato le leggi contro i cosiddetti «agenti stranieri» , includendo nella black list organizzazioni senza scopo di lucro, media indipendenti, giornalisti e attivisti.

In questo modo le organizzazioni che ricevevano qualsiasi sostegno dall'estero, comprese le donazioni o altri finanziamenti, potevano essere equiparate a covi di spie anti russe.

Nel 2023, Putin ha poi varato leggi sulla censura di guerra che criminalizzano chiunque possa essere sospettato di screditare le forze armate russe o di condividere informazioni sulla loro condotta che non aderiscono alla linea del governo.

Coloro che finiscono nei meccanismi kafkiani delle norme sulla censura rischiano fino a 15 anni di carcere, spesso da scontare nelle terribili colonie penali a nord-est del Paese.

La censura di Stato ha così portato alla chiusura di diversi media indipendenti e alla persecuzione di giornalisti di spicco, centinaia di reporter sono inoltre costretti a fuggire in esilio per poter continuare il proprio lavoro di informazione.

Altri sono rimasti in Russia a “combattere” ma, come dimostra il caso Mikhailov, hanno dovuto pagare un caro prezzo. Secondo il gruppo per i diritti umani OVD-Info, più di mille persone si stanno difendendo in procedimenti penali avviati a causa delle loro critiche alla guerra in Ucraina.

Secondo le stime di Amnesty International, nel 2023 almeno 21.000 persone sono state prese di mira dalle leggi russe utilizzate per reprimere ad arti chiunque manifesti un pensiero contro la guerra in Ucraina.