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«Si deve trovare una soluzione nella maggioranza. E nel confronto. Senza l’ipotesi di uno sciogliete le righe. Non voglio considerare l’idea che sulla prescrizione e sul processo ci si rassegni all’impossibilità dell’accordo. Ma una cosa è certa», spiega Andrea Orlando, «serve un rimedio anche per chi in primo grado è condannato. Non si vuole una soglia massima di durata del processo, neppure per fasi? E allora però servono altre conseguenze certe e automatiche che intervengono se il processo supera ogni possibile ipotesi di durata ragionevole. E non basta l’aleatorietà di eventuali conseguenze disciplinari».
Il vicesegretario del Pd non ha solo il merito della chiarezza. Sul caso della prescrizione e della riforma penale vanta anche un’apprezzabile dose di ottimismo. Non teme deflagrazioni nella maggioranza sulla giustizia. E intanto, da predecessore di Bonafede, rinnova l’impegno a sostenere le istanze dell’avvocatura: «Sono convinto dell’opportunità di sancire in Costituzione il ruolo dell’avvocato», dice, «come sono convinto che una simile riforma debba avere come conseguenza l’obbligo di riconoscere il giusto compenso a chi tutela i diritti».
Ma insomma, è così ineluttabile che senza accordo sulla prescrizione debba cadere il governo? La ricerca di un accordo ha già prodotto qualche risultato. Si pensi solo a dov’eravamo fino a pochi giorni fa sul decreto intercettazioni, che invece tra poche settimane entrerà in vigore. Perciò, sulla prescrizione, finché la via dell’accordo non si manifesta come impercorribile, non ha senso esercitarsi sulle conseguenze. Io anzi ribalterei la domanda.
In che modo? Perché interrogarsi su scenari apocalittici se c’è una trattativa aperta? Si può forse dire che le posizioni sono rimaste identiche? No, delle modifiche ci sono state.
Secondo lei Italia viva minaccia di votare la legge Costa solo perché considera improbabile che questo basti a mandare sotto la maggioranza? Non lo so. So però che noi non intendiamo convergere su una proposta condivisa da un partito che ha contribuito ad approvare proprio la norma Bonafede.
Cioè la Lega. Certo: una forza politica che non ha alcun titolo per parlare di garantismo. Che ha provocato il danno dopo averne causati altri simili. E che ora si candida a un certificato di garantismo nonostante sia priva dei pur minimi requisiti. Il Partito democratico segue una linea chiara: se alla fine del confronto nella maggioranza non si trovasse una soluzione soddisfacente, metteremo in pista il nostro disegno di legge.
Che ripristina la prescrizione così come modificata dalla sua riforma. Ma c’è una soluzione soddisfacente diversa da un limite di durata massima per i processi Primo: si deve stabilire per legge qual è il tempo accettabile di durata per un processo. Secondo: se si esclude l’estinzione del processo troppo lungo, ci vuole un rimedio che abbia analoga forza deterrente. Non basta stabilire che i giudizi penali devono essere rapidi: va chiarito cosa succede se non lo sono.
E bastano le sanzioni disciplinari ai giudici? Non ho analizzato in tutti i dettagli l’ultima ipotesi di articolato. Ma una cosa è evidente: gli argomenti da opporre in sede disciplinare sono innumerevoli. Quindi la minaccia di sanzioni non basta. Serve un rimedio vero.
Bonafede dice: la prescrizione eliminata solo per i condannati non è incostituzionale: anche la riforma Orlando distingueva chi è assolto da chi subisce una prima sentenza sfavorevole. Non mi inoltro in ragionamenti da costituzionalista, come invece hanno fatto molti in entrambi i sensi. Dico solo che lo squilibrio tra chi è condannato e chi è assolto va ricomposto proprio con i rimedi di cui sopra. Nel caso di condanna in primo grado va trovata una soluzione che determini comunque una durata certa del processo. In quel modo si estinguerebbero, mi pare, anche le ombre di incostituzionalità.
Non ci sarà una vera depenalizzazione: questo rende ancora più grave l’incompiuta approvazione della sua riforma penitenziaria? La deriva carcerocentrica del sistema è la principale conseguenza del cosiddetto panpenalismo. Ma è un nodo che va affrontato in modo distinto. Non si può pensare di mettere troppa carne al fuoco. Una cosa è certa: sul carcere si misura il coraggio del fronte garantista. Ora sminiamo il terreno dal macigno lasciato dal governo precedente, poi ragioneremo sul resto. Un buon esisto del confronto sul penale può essere d’auspicio anche per il tema del carcere.
Insomma, resta ottimista. Guardi, pochi giorni fa ho incontrato anche l’Unione Camere penali: che, a parte il nodo prescrizione, sul resto della bozza di riforma aveva espresso apprezzamento.
Il responsabile Giustizia del Pd Verini ha assicurato al presidente del Cnf Mascherin sostegno sull’avvocato in Costituzione: crede nella riforma? Penso che i tempi siano davvero maturi per un simile passaggio. Sancire in Costituzione il ruolo dell’avvocato vuol dire completare il percorso aperto dall’introduzione del modello accusatorio. Intanto ho presentato una modifica nel milleproporoghe per implementare le norme sull’equo compenso, che da ministro ho proposto in seguito al confronto col Cnf. Penso che l’avvocato in Costituzione renderebbe indiscutibile anche il principio per cui chi tutela i diritti va degnamente ricompensato.