PHOTO Uno dei vertici di maggioranza sulla prescrizione, con Alfonso Bonafede, Giuseppe Conte, Andrea Orlando e Andrea Giorgis
«I rapporti di forza non cambiano». Parola di Vito Crimi. Che è il capo politico reggente. E che pronuncia la frase dopo essere stato interpellato sulla prescrizione. Una risposta neppure troppo indiretta ad Andrea Orlando. Che domenica notte, subito dopo i primi exit poll sull’Emilia, e il mancato sfondamento di Salvini, aveva dato tutt’altra lettura: «Spero sia messa da parte dal M5s una certa vena antipolitica e giustizialista: vogliamo rivedere i decreti sicurezza e trovare un accordo per una norma diversa da quella Bonafede sulla prescrizione». Chiarissimo. Ma la resa dei conti può attendere. Non si consumerà oggi. Non ci saranno sorprese da parte del Pd sulla legge Costa, in arrivo nell’aula di Montecitorio. Lo fa capire, nella discussione generale sul testo aperta ieri pomeriggio alla Camera, il capogruppo dem in commissione Giustizia Alfredo Bazoli: «Intendiamo stare in un percorso all’interno della maggioranza, terremo la giustizia lontana dalle polemiche», dice a proposito della proposta anti-Bonafede firmata Forza Italia. Certo, riconosce che «sarebbe stato preferibile se chi ha la più alta responsabilità sul punto», sempre Bonafede, «avesse accettato di rinviare l’entrata in vigore della sua riforma».
Conte ottimista: «Accordi, non compromessi»
E poi c’è Giuseppe Conte. Rinfrancato dalla sconfitta di Borgonzoni contro il dem Bonaccini in Emilia. Ma ora costretto a fare da arbitro in una maggioranza squassata, in cui il partito di Nicola Zingaretti non intende più farsi dettare l’agenda. Neppure sulla giustizia, e nonostante quel capitolo sia intestato a un ministro 5 Stelle, Alfonso Bonafede appunto. «Troveremo un accordo sul processo penale», assicura il premier ai cronisti che lo intercettano a Palazzo Chigi, «ma vi assicuro che non sarà un compromesso».
Il preavviso di Orlando
Andrea Orlando è un politico, prima che un ex guardasigilli. Conosce la giustizia ma capisce ancor prima qual è il momento per imporre una linea diversa. Il momento, secondo il vicesegretario dem e lo stesso Zingaretti, è arrivato. E perciò chiede «una norma diversa sulla prescrizione». Posizione anche più intransigente di quella espressa dagli stessi uomini del Nazareno la settimana scorsa, al termine dell’ultimo vertice sul processo penale. Certo che passano all’incasso, Zingaretti e Orlando. Con la logica della correttezza, perché oggi non si sogneranno di consentire fuor d’opera ai deputati pd sulla legge Costa, ma determinati a pretendere da Bonafede e Conte una riscrittura della riforma. «Se si esclude l’estinzione del processo troppo lungo, ci vuole un rimedio che abbia analoga forza deterrente: non basta stabilire che i giudizi penali devono essere rapidi, va chiarito cosa succede se non lo sono», aveva detto proprio Orlando in un’intervista a questo giornale giovedì scorso.
Bonafede nella tempesta perfetta
D’altronde il quadro che Bonafede trova stamattina si ascrive perfettamente alla categoria della tempesta perfetta. Lui tiene la relazione programmatica sulla Giustizia in Senato, dove si annunciano critiche serrate anche dal Pd, con il capogruppo Andrea Marcucci a guidare il plotone. A Montecitorio si vota sulla legge Costa, dove si farà sentire la richiesta per una «fase due» prefigurata dallo stesso Zingaretti in conferenza stampa con Orlando. È insomma il classico prodotto di più fattori che concorrono a cambiare il quadro, in modo anche brusco, se non dirompente. In un post su facebook, lo stesso Marcucci prepara così il guardasigilli alla giornata campale in Parlamento: «La prima cosa in agenda è la disastrosa riforma Bonafede sulla prescrizione, non a caso, votata dalla Lega». Non solo. Secondo il presidente dei senatori pd «Conte è chiamato subito a una prova di responsabilità sulla giusta durata dei processi. Serve risolvere il problema, non inventarsi scorciatoie». Altrimenti i dem si arrabbiano. Forse. Anche se oggi, come confermato da Bazoli, non faranno scherzi sulla legge Costa. Un testo semplice, dopo un esame degli emendamenti ridotto all’osso. Grazie ai voti dem, e di Leu, in commissione è passata infatti la modifica grillina, che cancella lo stesso effetto abrogativo della legge Costa, la sterilizza. Se l’emiciclo confermasse tale scelta, il testo del deputato azzurro si dissolverebbe come alcol etilico strofinato su una ferita fresca. E nell’ipotesi ora più gettonata dagli stessi democratici, tornerebbe in commissione. Se davvero l’emiciclo farà così. Ma intanto Italia viva conferma di non avere alcuna intenzione di rinnegare la scelta compiuta proprio in commissione Giustizia, dove ha votato con il centrodestra e ha fallito il ribaltone per un voto, quello della presidente pentastellata Francesca Businarolo. «Una proposta di FI vuole abolire la riforma Salvini-Bonafede», scandisce su twitter Ettore Rosato, coordinatore dei renziani, «saremo coerenti, la resa di fronte ai processi eterni ci troverà sempre contrari. Domani (oggi per chi legge, ndr) si voterà, confidiamo prevalga la ragionevolezza nella maggioranza». Tradotto: Italia viva voterà eccome per il testo di Enrico Costa, responsabile Giustizia degli azzurri. Potrebbe non bastare, ma certo i numeri preoccupano il ministro della Giustizia, affidato a una scelta “conservativa” degli ex grillini passati al Misto e ad altre forze pulviscolari della geografia parlamentare. Una tentazione azzurra per il Pd Lo stesso Rosato, coincidenza, presiede la discussione generale sulla legge Costa, celebrata ieri in un’aula rarefatta. Un altro deputato renziano, Cosimo Ferri, si dice «sorpreso» della scelta del Pd, che con i 5 Stelle proverà a rispedire la mina in commissione. «Il testo ripristinerebbe la riforma della prescrizione firmata da Andrea Orlando», rammenta Ferri. Fino a che non interviene un altro forzista, Pierantonio Zanettin. Che prova a indurre i dem in tentazione: «Il Movimento 5 Stelle esce annichilito nella Regione», l’Emilia, «dove 3 anni fa fece il pieno di consensi. Che la notte della ragione, alla luce dei risultati elettorali, possa sparire...», è la sua invocazione. Il Partito democratico, come Ulisse, non ascolterà le sirene. Ma il prezzo di tanta fedeltà, ormai è chiarissimo, non sarà da saldi di fine stagione.