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«Se l’avvocato - prosegue Ermini - è il difensore della libertà nel processo, la costituzionalizzazione esplicita del suo ruolo consentirebbe di rafforzare il diritto di difesa e il contraddittorio. L’avvocato, del resto, è pilastro insostituibile della funzione giurisdizionale».
«Magistratura ed avvocatura, diceva Piero Calamandrei, sono organi complementari di una sola funzione, legati da scambievole rispetto e da reciproco riconoscimento di uguale dignità verso lo scopo comune», ricorda il vicepresidente del Csm.
E va infatti in questa direzione il Protocollo di collaborazione tra il Consiglio superiore della magistratura e il Consiglio nazionale forense per una serie di azioni sinergiche e iniziative comuni al fine di migliorare il servizio che l’organizzazione giudiziaria nella sua complessità rende al Paese. «E’ un protocollo precisa Ermini - che evidenzia la necessità di incrementare una comune cultura della giurisdizione tra magistratura e avvocatura, in modo che non vivano e si percepiscano come corpi separati l’uno dall’altro ma avvertano lo stretto legame che li unisce nel contribuire, ciascuno nel proprio ruolo, a un’unica e unitaria funzione: la realizzazione dei diritti degli individui e la difesa e promozione dei valori fondanti la società democratica».
«C’è chi si è spinto anche più in là, profetizzando rivoluzioni della professione ( se non addirittura “la fine degli avvocati”) in seguito all’irrompere della tecnologia e dei social media, che renderebbero disponibili a tutti informazioni e contenuti di carattere legale, di modo che i servizi legali sarebbero sempre meno soggetti al controllo e all’influenza degli avvocati. Ma senza inoltrarci troppo in scenari futuribili, il dato di fatto con cui oggi bisogna fare i conti è la questione dell’‘ accesso alla giustizia’, ossia di un ridisegno incisivo del rapporto fra cittadini e sistema giudiziario entro il quale promuovere l’idea di una giustizia intesa come opportunità e criterio per orientare le nostre decisioni concrete», sottolinea Ermini.
«E’ una questione che riguarda tutte le democrazie avanzate, e nel concreto si traduce in una maggiore attenzione alle tecniche di prevenzione delle controversie più che di risoluzione. Una parte consistente del lavoro d’avvocato non si svolgerà nelle aule del Tribunale ma in sede di consulenza, mediazione e composizione stragiudiziale delle controversie», prevede il vicepresidente del Csm, secondo cui «un po’ così lo è già visto che anche da noi i metodi alternativi per risolvere le controversie sono entrati nelle previsioni normative, ma non sono ancora così diffusi da imporre un cambio di mentalità non da poco».
«L’avvocato non sarà più “litigator” per la tutela dei diritti del cliente ma piuttosto “protettore” dei suoi interessi», conclude quindi Ermini.