Dallo scorso 7 ottobre il ministero dell’interno francese ha registrato 2500 atti antisemiti e 400 denunce specifiche, cifre che lasciano di stucco, dieci volte superiori a quelle di tutto l’anno precedente. Il pogrom di Hamas e i bombardamenti di Gaza sono stati un detonatore formidabile per risvegliare la bestia sopita. E così i topi sono usciti dai tombini, chi per emulazione, chi per contestazione, tutti con lo stesso nemico: l’ebreo.

L’ultimo sfregio in ordine di tempo: le stelle di David, apparse ieri mattina nel 14esimo arrondissement di Parigi, circa sessanta a ridosso di abitazioni e negozi, un’infamia che ci riporta dritti dritti nella delirante Germania hitleriana.

Le stelle erano spuntate già nei giorni scorsi in diversi sobborghi della capitale, nelle banlieues “difficili” di Vanves, Fontenay-aux-Roses Aubervilliers e Saint-Ouen, spesso accompagnate da scritte che inneggiano alla distruzione dello Stato di Israele o all’uccisione di tutti gli «sporchi ebrei» o all’elogio dei «resistenti» di Hamas.

E centinaia sono le testimonianze che raccontano questo clima di odio che sta dilagando oltre le Alpi. Come quella di Samuel Lejoyeux, presidente dell’Union des étudiants juifs de France (UEJF), cacciato a metà corsa da un autista Uber che lo aveva sentito parlare al telefono della sua preoccupazione per la comunità ebraica francese. Poi ci sono gli insulti e le minacce per chi indossa la kippah in strada, le profanazioni dei cimiteri, le sinagoghe imbrattate. i simboli religiosi dati alle fiamme. È quel che è successo, sempre nella turbolenta periferia parigina, dove sono state bruciate delle mezuzah, le pergamene che riportano alcuni passi della Torah affisse sullo stipite destro della porta di casa: «Hanno dato alle fiamme la mezuzah della mia vicina e ho deciso di non esporre più la mia, ho paura» racconta a Le Monde una donna di nome Karen. A Creteil una ragazzina della scuola Ozar Hatorah è stata avvicinata da due uomini che l’hanno pesantemente insultata: «Puttana ebrea, vattene». Un’altra ragazza di 21 anni di Levallois-Perret ha raccontato alla polizia di ricevere continue molestie telefoniche dall’8 ottobre, cose del tipo «sei già morta», «ti sgozziamo», «Hitler non ha finito il lavoro», «tutti gli ebrei in scatola».

Viene da sorridere, o forse da piangere, di fronte ai soloni che minimizzano la portata di questa morbosa vague di antisemitismo, che contestualizzano e blaterano di geopolitica, parlando candidamente di «conseguenza» dell’occupazione israeliana, come se un ebreo francese, tedesco o russo fosse responsabile delle politiche del governo Netanyahu, come se attaccare un luogo di culto, un centro culturale, un negozio avesse un qualche relazione con la causa palestinese. O peggio ancora, nascondendosi sotto la coperta ipocrita dell’antisionismo per ammantare di impegno politico i propri beceri pregiudizi.

La Francia, che conta la comunità ebraica più grande d’Europa, circa mezzo milione, è da anni un inquietante laboratorio di atti antisemiti con fatti raccapriccianti che hanno marchiato a sangue le cronache come la strage alla scuola ebraica di Tolosa del 2012 compiuta dal fanatico integralista Mohammed Merah che uccise quattro persone tra cui una bambina di 8 anni, freddata con un colpo di pistola alla nuca. O l’omicidio e le indicibili sofferenze subite nel 2006 da Ilan Halimi, un ragazzo franco-marocchino che lavorava in un negozio di telefonia, rapito, torturato e ucciso dalla Gang des barbares, un gruppo guidato da Yousseff Foffana, un altro fanatico convinto di ottenere un riscatto milionario perché Halimi era ebreo. O ancora più recentemente il brutale assassinio di Mireille Knoll, sopravvissuta all’Olocausto, rapinata e trucidata nel suo appartamento nel 2018 da due giovani balordi per motivi religiosi.

Se nei paesi democratici gli atti antisemiti di questo ultimo mese non sono ancora degenerati in violenze fisiche di rilievo, così non è stato altrove. Le sconcertanti immagini dell’aeroporto di Makhatchkala, capitale della repubblica russa del Daghestan sono uno squarcio su un orrore che molti credevano scomparso: come altro definire centinaia di persone inferocite che al grido di «Allah au akhbar» scatenano la caccia all’ebreo per diverse ore completamente indisturbate, fermando i passeggeri per controllare la loro nazionalità e religione? Dopo il 7 ottobre in tutto il Caucaso russo, a maggioranza musulmana, ci sono state diverse aggressioni antisemite; a Khassaviurt, sempre in Daghestan decine di uomini armati di mazze hanno assediato e fatto irruzione in un hotel perché si era sparza la voce che ospitasse «rifugiati ebrei». A Naltchik, capitale della repubblica Kabardino-Balkaria un centro culturale ebraico è stato messo a ferro e fuoco, mentre nella vicina repubblica di Karacai-Circassia a migliaia sono scesi in piazza chiedendo «l’espulsione di tutti gli ebrei» e distribuendo gli indirizzi delle sinagoghe e dei rabbini attraverso alcuni canali Telegram. Invece al confine con l’Azerbaijan, nella città russa di Derbent, il rabbino capo Ovadia Iissakov ha affermato che per le 300 famiglie ebree residenti sarebbe meglio «fuggire dal paese».