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Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede avrebbe promosso una azione disciplinare nei confronti di Alessandra D’Amore, la pm che ha condotto le prime indagini sull’omicidio di Marco Vannini. Lo ha reso noto la trasmissione Le Iene in una puntata dedicata alla decisione della Cassazione. Il condizionale è d’obbligo perché come ci fanno sapere da via Arenula “non è una informazione nella nostra disponibilità”.
La pm, come riportato nel servizio televisivo, potrebbe aver violato i doveri di diligenza e laboriosità creando un ingiusto danno ai genitori del ragazzo morto a 20 anni. Al magistrato verrebbe contestato di aver svolto in maniera superficiale l’inchiesta, non mettendo sotto sequestro la casa dei Ciontoli e non raccogliendo importanti testimonianze, che invece sarebbero state portate alla luce dalla trasmissione di Italia1. Il magistrato avrebbe già chiesto di essere ascoltato e la richiesta potrebbe essere accolta nei prossimi giorni. L’avvocato di parte civile, Celestino Gnazi, fa sapere di non voler «commentare iniziative disciplinari» e si limita a dire che «in primo grado le indagini sono state svolte in modo da raccogliere una montagna di elementi più che sufficienti a dimostrare la colpevolezza degli imputati. Nel caso va valutato il comportamento dei giudici».
Per l’avvocato della famiglia Ciontoli Andrea Miroli, «questa purtroppo è una delle conseguenze del processo parallelo e cioè quello che si svolge nelle trasmissioni televisive dove spesso vengono invitati a parlare persone senza alcuna cognizione della vicenda e soprattutto senza alcuna competenza e dove quello che viene detto viene amplificato al punto da divenire una verità inoppugnabile».
Non sarebbe la prima azione disciplinare richiesta dal Guardasigilli nei confronti di un magistrato coinvolto nel caso Vannini: un anno fa era stato il turno del presidente della giuria di appello, Andrea Calabria, che aveva prefigurato alla madre della vittima il rischio di un “giro a Perugia”, ossia una denuncia per oltraggio alla Corte, qualora avesse continuato a urlare “vergogna” di fronte alla lettura della sentenza che aveva ridotto da 14 a 5 anni la condanna per Ciontoli.