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Il gip, su richiesta della Procura di Civitavecchia, ha archiviato il procedimento contro il maresciallo dei Carabinieri Roberto Izzo, accusato dal commerciante Davide Vannicola di aver coperto e aiutato Antonio Ciontoli nella notte della morte di Marco Vannini.
L’uomo aveva raccontato - prima stranamente ai giornalisti e poi ai magistrati - che Izzo gli aveva confidato che a sparare a Marco era stato Federico Ciontoli e non suo padre Antonio, a cui il maresciallo avrebbe poi consigliato di prendersi la colpa.
Dunque si trattava di una bufala, a cui molte trasmissioni televisive hanno dato grande risonanza, montando un caso mediatico che la procura non ha ritenuto degno di consistenza probatoria. «Non avevamo dubbi – commenta al Dubbio uno dei legali della famiglia Ciontoli, l’avvocato Andrea Miroli – sull’esito del provvedimento, considerata l’assoluta irrilevanza delle dichiarazioni del Vannicola. Sarebbe bastato ascoltare con attenzione le intercettazioni di Federico per credere alla genuinità del suo racconto».
Non è la prima volta che nel procedimento che vede coinvolta l’intera famiglia Ciontoli per la tragica morte del giovane Vannini ( a febbraio la Cassazione) si cercano di inserire nuovi filoni per aggravare la posizione di Antonio Ciontoli: avrebbe puntato una pistola nei confronti di un automobilista sull’Aurelia e avrebbe rapinato una prostituta.
Per quanto concerne il primo caso, Ciontoli ha denunciato il suo accusatore per diffamazione; per il secondo, l’accaduto, qualora fosse accertato, risalirebbe a molti anni fa e sarebbe penalmente irrilevante. Appare strano, però, che nello stesso giorno in cui è stata resa nota la decisione dell’archiviazione sulle accuse di Vannicola salti fuori la questione della prostituta.
La sensazione è che per troppi Ciontoli e la sua famiglia meritino l’ergastolo morale e carcerario, rispetto alle condanne a 5 e 3 anni inflitte in appello.