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Tutti a processo: è quanto ha deciso il gup del Tribunale di Cassino, Domenico Di Croce, che ha disposto il processo per i cinque indagati per l’omicidio di Serena Mollicone. Il processo inizierà il 15 gennaio prossimo. A dover rispondere delle accuse di omicidio volontario e occultamento di cadavere, nel processo che si celebrerà in Corte d’Assise, sono l’ex comandante della caserma dei carabinieri di Arce, Franco Mottola, la moglie Anna e il figlio Marco. Sotto processo anche l’ex vice comandante della stazione di Arce, il luogotenente Vincenzo Quatrale, e l’appuntato Francesco Suprano. Il Gup ha accolto le richieste avanzate dal pubblico ministero Maria Beatrice Siravo e dagli avvocati della parte civile, De Santis, Salera, Nardoni, Castellucci che rappresentano i familiari di Serena Mollicone e Santino Tuzi. Guglielmo Mollicone ha sempre sostenuto la tesi secondo cui Serena è entrata viva nella caserma dei Carabinieri di Arce. Era il primo giugno del 2001 quando la ragazza si presentò lì, probabilmente, per incontrare Marco Mottola, suo coetaneo e figlio dell’allora comandante. Una volta all’interno, secondo quanto ricostruito dalle indagini dei Ris e dagli accertamenti dell’Istituto di Medicina Legale di Milano dove il corpo della ragazza, una volta riesumato, è stato studiato per oltre un anno e mezzo, i due ragazzi avrebbero litigato. Mottola avrebbe così tirato uno schiaffo alla ragazza, facendo sbattere violentemente la parte occipitale della testa di Serena contro una porta. La ragazza sarebbe crollata a terra priva di sensi e con una perdita di sangue dall’orecchio. A quel punto sarebbero intervenuti il maresciallo e la moglie. Il corpo di Serena sarebbe stato spostato su un terrazzino coperto e lontano da occhi indiscreti, dove sulla testa della ragazza verrà infilato un sacchetto poi sigillato con del nastro adesivo. Serena, in quel momento, sarebbe stata ancora viva: la morte sarebbe sopraggiunta sei ore dopo, come confermato dall’autopsia, per soffocamento. Grazie alla rivisitazione approfondita e sistematica di tutti gli atti procedimentali, svolta con la collaborazione del Comando Provinciale dei carabinieri di Frosinone, alla riesumazione del cadavere e all’applicazione di tecniche all’avanguardia, sia ad opera della professoressa Cristina Cattaneo, del Labanof dell’Istituto di Medicina legale di Milano che del Ris dei carabinieri di Roma, la procura ritiene di aver provato che Serena Mollicone è stata uccisa nella caserma dei carabinieri di Arce, grazie alla perfetta compatibilità tra le lesioni riportate dalla vittima e la rottura di una porta collocata in caserma; così come è stata accertata la perfetta compatibilità tra i microframmenti rinvenuti sul nastro adesivo che avvolgeva il capo della vittima ed il legno della porta. Diciotto anni di depistaggi e richieste di archiviazione per un’indagine che sembrava essere archiviata dopo l’assoluzione con formula piena nel giugno del 2006 del povero Carmine Belli, carrozziere di Rocca d’Arce, arrestato nel 2004 con l’accusa di aver assassinato la giovane e che per 18 lunghi mesi è rimasto in cella di isolamento gridando la propria innocenza. Belli fu vittima di uno dei tanti depistaggi che, secondo la Procura, furono attuati dai veri responsabili dell’omicidio di Serena Mollicone. Dal 2006 sono riprese le indagini sull’omicidio, con l’iscrizione sul registro degli indagati, nel 2011, dei Mottola. «Siamo soddisfatti, abbiamo ottenuto quello che avevamo chiesto che è il massimo che potevamo ottenere. Un pensiero forte va Gugliemo, se fosse stato vivo avrebbe vissuto anche lui questa soddisfazione. Questo risultato è stato raggiunto anche grazie al suo coraggio e alla sua perseveranza», ha detto all’Adnkronos l’avvocato Dario De Santis, legale di Guglielmo Mollicone, padre di Seren, che dopo aver lottato una vita perché si arrivasse alla verità, è morto il 31 maggio scorso.