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C’è qualcosa che fa sorridere in questa tragedia e cioè nella morte di Emiddio Novi, per 12 anni parlamentare assai anomalo in Forza Italia ma soprattutto maestro di giornalismo per me e tanti altri colleghi figli di un dio minore, orgogliosamente fuori e contro la stampa mainstream. Oggi il cordoglio e la commozione sono generali, ma 30 anni fa, quando andava a finire la Prima repubblica, Emiddio era odiatissimo dallo stato maggiore e da gran parte della categoria. Perché, pur essendo approdato in area socialista, nessuno gli perdonava la militanza dichiaratamente fascista della sua gioventù. Dal ‘ 68 nero di Università europea ai vertici del Fronte della Gioventù, per poi animare, con Pietro Golia, una scissione peronista che organizzò le prime liste di lotta dei disoccupati a destra. Emiddio aveva la capacità, confermata negli esiti successivi, di restare ancorato a un progetto, a una visione, alla strategia di una destra antagonista al sistema politico e al potere del grande capitale finanziario, pur in un apparente mutevolezza delle appartenenze di partito.Con orgoglio e riconoscenza, uno dei suoi “fratelli minori”, Sergio Califano, che lavorava con lui in redazione, ricorda: “Nell’ 80 Achille Lauro - che oltre ad esse-re molto ricco era monarchico affondò e si portò appresso il Roma.Mentre la tipografia colava a picco e finiva sul fondo del mare, i più svelti si svegliarono democristiani, socialisti, liberali, e cominciarono a bivaccare nelle anticamere del Mattino e della Rai. Emiddio raccolse la pattuglia dei duri e puri e comunicò: ' Io e i miei amici restiamo fascisti e non ci vendiamo a nessuno'. E furono anni di fame, per lui e per i duri e puri. La sua fortuna fu allora che, come molti grandi uomini, aveva al fianco una grandissima donna, Pina. Approdato a metà anni 80 al Giornale di Napoli Novi mi scelse come redattore (sebbene io fossi molto di sinistra), imponendomi con ostinazione ai dubbi del democristianissimo direttore, Orazio Mazzoni, messo in preallarme sull’inopportuna laison tra i due ultras, il rosso e il nero.Leggo, nel compianto di diversi colleghi, di un ' grandissimo lavoratore'. Io, che ne sono stato il vice per sette anni, ho un ricordo diverso: bravissimo nel tirarti il collo, geniale nella titolazione e nella fabbricazione delle pagine, lucidissimo editorialista e analista politico, ma con una sciatteria orgogliosamente rivendicata nel lavoro redazionale, rispetto agli standard dell’epoca (' sono stronzate a cui pensiamo solo noi', e aveva ragione) e con una vena di apparente pigrizia che era in realtà una lucida e disincantata melanconia.Qualche anno prima di Feltri e del boom del giornalismo anticasta di Tangentopoli ci aveva insegnato uno stile di titolazione aggressivo e beffardo che trovò la sua più geniale espressione in quel “Grand Hotel Poggioreale” che è entrato nei manuali di scuola del giornalismo. Uno stile apparentemente casareccio ma che affondava le radici nella grande scuola del “Borghese”, il settimanale di destra degli anni ‘ 60 ricco di redattori autori di cabaret. Aveva chiaro un modello di giornale popolare molto attento alla cronaca nera e scandalistica ma capace di orientare politicamente l’opinione pubblica attraverso le campagne di controinformazione. Esagerava sempre nella sua ossessione anticomunista eppure le sue critiche avveniristiche sulla tendenza di certa sinistra a essere subalterna, ai limiti del servilismo, verso il grande capitale, oggi sono senso comune.I duri attacchi alla prima giunta Bassolino furono la rampa di lancio per una carriera parlamentare che fu sicuramente penalizzata dalla sua diversità antropologica dai berluscones. Perché, a differenza dei tanti garantisti dell’ultimissima ora, lui era un fascista decisamente libertario: aveva guidato la nostra resistenza umana nell’anno orribile in cui il “Giornale di Napoli” era una delle punte di diamante del fronte colpevolista nel processo Tortora. Fino al giorno meraviglioso della sentenza d’appello in cui il redattore capo, con felice intuizione, commissariò la cronaca di Napoli. Ed Emiddio titolò a nove colonne, con un bastoni compensatissimo, a corpo 300: INNOCENTE. Lungo lo stesso filo, qualche anno dopo, da direttore, non esitò ad affidarmi corsivi assai velenosi con gli inquirenti che avevano mandato in galera cantanti diversamente popolari come il neomelodico Carmelo Zappulla ( accusato, da innocente, di un omicidio) e il rapper dei centri sociali Luca “Zulù” Persico, arrestato per aver litigato con un poliziotto alla fine di un corteo.