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Padre Pio & Rocco Casalino. Del governo giallo– verde, se solo volessimo semplificare in termini pop, prossimi a un ideale mazzo di carte del Mercante in Fiera nazionale riferito al presente, potremmo dire che questo attualmente vive ispirandosi a due precisi punti cardinali, di più, santi.
Il primo è, lo si è accennato, l’amatissimo frate di Pietrelcina, Padre Pio, canonizzato in memoria di una perenne e sconfinata storia contadina, orco buono di Dio, saio che sembra profumare appunto di santità, ma anche di antico tanfo di noci e crudeli arcaiche naturali scoregge, zolfo del demonio tentatore, va da sé. D’altronde, ben sappiamo, il Padre non andava per il sottile, accoglieva tutti e per chiunque custodiva una carezza, una parola, uno sguardo, un gesto del sopracciglio, ora mite ora adirato. Accoglieva sia Carlo Campanini, spalla di Walter Chiari nella riproposizione televisiva dei Fratelli De Regge, devoto al quale, fra l’altro, è dedicata una via proprio a San Giovanni Rotondo, all’ombra della Casa Sollievo della Sofferenza, l’ospedale che Francesco Forgione, detto appunto Padre Pio, volle edificare. Ma accoglieva anche mille e ancora mille anonimi penitenti che giungevano in torpedone fin lì da lui, gente che talvolta veniva accolta con urla e strepiti, quasi che il santo, non ancora tale, lo stigmatizzato, ne intuisse crimini, sotterfugi, misfatti e tradimenti, non per nulla sovente sembra che gli urlasse contro suoi anantemi: “... disgraziato, torna a casa da tua moglie, povera donna, puttaniere che non sei altri! ”, e giù perfino schiaffi.
E ancora, ma questo lo narriamo per gli amanti della metafisica, ossia la scienza delle soluzioni possibili, rimane meraviglioso il racconto della barba e degli occhi di bragia del frate che d’improvviso appaiono, nell’alto dei cieli di Puglia, a un pilota di bombardiere americano, siamo nel 1943 e questi, il soldato Alleato, con la sua fortezza volante, sta sorvolando il Gargano, l’intenzione è di scaricare giù un carico di bombe: Padre Pio gli appare con le sue pupille che sembrano fargli cenno imperioso di tornare indietro, e il pilota vira e torna a casa, alla base. Pensate, addirittura a Cuba, tra i ritratti del “Che” e di Camilo Cienfuegos, idoli rivoluzionari, è capitato di scorgere un ritratto di Padre Pio.
Simbolo di una devozione portatile popolare e perfino pop, un culto che abbraccia dall’ex Miss Italia Anna Kanakis all’attuale presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, lo stesso statista che nei giorni scorsi ha ritenuto opportuno, in occasione dell’anniversario tondo delle stimmate, cento anni, di giungere a San Giovanni Rotondo. Ne consegue l’immagine di Conte in corsia, e ancora il tweet di Conte che mostra la meda- glietta di San Pio, posto che nessuno, nonostante la canonizzazione, riesca ancora adesso a rinunciare a quel titolo benevolo e rionale di “Padre”. Come sia riuscito Pio a diventare così importante, fino a issarsi sulla vetta, se non sull’hitparade dei santi, è detto presto: dalla sua parte arde la memoria contadina che sopravvive al tempo, e forse perfino quell’irruenza umana che lo segna, come padre supplente e cazziatore divino; insomma, schiaffi per procura assegnati dall’Altissimo e da un suo preposto meridionale dispensati, “... disgraziato, torna da tua moglieee, deligguente... ”, sia detto con pronuncia pugliese.
Quanto ai miracoli, ci rimettiamo alle leggi del Dubbio; vada invece per un benevolo sguardo di tipo socio– antropologico sulle intere sue gesta e dimore, compresa quella finale disegnata dall’archistar Renzo Piano, dove il frate riposa come fosse un faraone, se non il sosia di Sun Ra, il grande jazzista che si reputava figlio, appunto, degli antichi egizi. Assai meno significativo è ritenere che le stimmate fossero davvero un dono divino. D’altronde, anche all’interno della Chiesa Cattolica, da Papa Giovanni ad Agostino Gemelli, Padre Pio ebbe non pochi problemi per farsi accettare, ottenere la benedizione.
Sull’altra carta del Mercante in Fiera politico odierno, simmetrico al santo, troviamo invece il pizzuto portavoce del presidente Giuseppe Conte, Rocco Casalino. Dunque, in questo caso, alla benemerita Casa Sollievo della Sofferenza si contrappone la non meno esemplare casa del “Grande Fratello”, posta nell’area di Cinecittà, Roma, assodato che Rocco nostro, anzi, loro, assurge alla fama proprio grazie alla prima edizione di quel format popolare.
Marina La Rosa, nostra amica, nonchè vedette femminile di quell’avventura ormai ventennale, ci racconta che Rocco Casalino, fin dai quei giorni vissuti in comune, tra i divani e il “confessionale”, manifestava come proprio sogno la Politica. In breve, Marina assicura che il coinquilino Rocco era intenzionato a fare ciò che il coraggioso Movimento 5 Stelle gli ha infine consentito. In mezzo, negli atti degli apostoli del grillismo, ci stanno alcune perle custodite in rete, cominciando da un’intervista dove Casalino commenta i poveri e la puzza che questi ultimi offrirebbero al mondo al momento delle delizie erotiche: “Il povero ha un odore molto più forte del ricco, più vicino a quello del nero, hai mai provato a portarti a letto un rumeno o uno dell’Est? Anche se si lava o si fa dieci docce continua ad avere un odore agrodolce, non so che cavolo di odore è, però lo senti”. E ancora, segnatamente, la sensazione di un’intelligenza non particolarmente acuminata. Intendiamoci, essere brillanti non è un obbligo morale, ma forse lo diventa nel momento in cui ti ritrovi a smistare il traffico delle opinioni altrui, il lavoro cui è stato assegnato Casalino all’interno del MoVimento fondato da Beppe Grillo e inquadrato dalla Casaleggio Associati.
Pare ancora che Casalino abbia uno stipendio stratosferico, addirittura superiore a figure ben più apicali di lui negli organigrammi istituzionali, ciò nonostante, allo stesso modo di quel che accade con i miracoli ( veri o presunti) di Padre Pio, si ha la sensazione che, nonostante siano tempi di indignazione di massa in nome dell’onestà, anzi, dell’honestà, pochi reputano che si tratti di soldi immeritati, denaro eccessivo, quattrini non meritati, braccia strappate al trucco e parrucco. E questo perché, appunto, Rocco si è fatto da solo, esatto, con le sue mani, cominciando dalla “tartaruga” ben scolpita sugli addominali, issandosi fuori dall’anonimato grazie al mondo delle opportunità televisive targate Mediaset, raggiungendo così l’invidiabile sua posizione attuale: muovere i fili dei parlamentari del Movimento 5 Stelle, sorta di puparo quasi invisibile, un po’ come avviene in quel piccolo film di Pasolini, “Che cosa sono le nuvole”, dove il ruolo è invece affidato allo scrittore Francesco Leonetti e i pupi sono Totò, Ninetto Davoli, Laura Betti e ancora Franchi e Ingrassia, peccato che nel nostro copione sfilino invece volti “similabili” come quelli di Paola Taverna e del ministro Toninelli e altri ancora non meno commendevoli. Con questi nostri occhi, al pari di un capogita, di un Mangiafuoco, già qualche anno fa, abbiamo visto Casalino condurre in uno studio televisivo i “suoi” parlamentari, e questi ultimi seguirlo mansueti, pecore di un gregge giudizioso e imbeccato, perfetti nel recepire quando tacere in nome dell’interesse superiore. Così fino a quest’ultima sua azione davvero scriteriata ( a meno che non si voglia credere che si tratti di un sonoro concepito a tavolino e diffuso artatamente per smarcarsi rispetto al magro risultato di un reddito di cittadinanza che probabilmente resterà chimera, posto che non c’è copertura finanziaria), ossia le parole, meglio, l’ira funesta che Casalino, anzi il Movimento 5 Stelle sarebbe pronto ad applicare rispetto ai rematori contro della Ragioneria generale dello Stato: “… ci sono una serie di persone che stanno lì da anni, da decenni, e che hanno in mano tutto il meccanismo e proteggono il solito sistema. Se per caso, ma noi pensiamo che tutto andrà liscio, ma se per caso dovesse venir fuori che all’ultimo ci dicono ‘ i soldi non li abbiamo trovati’, dopodiché nel 2019 ci dedicheremo soltanto, ci concentreremo a fare fuori questi pezzi di merda dal ministero dell’Economia” ( sic). Così parlò Casalino, così non si dimise Casalino.
In verità, a questo mazzo da gioco sembra mancare ancora una carta, seppure ventilata, ed è quella del ripristino possibile della leva obbligatoria, in tal caso, in nome del principio del piacere, c’è da sperare che insieme alla bustina e al fucile “Garrand” faccia ritorno a tutti noi anche il leggendario giornaletto che illustrava le avventure di “Il Tromba”. Quando si dice “prima gli italiani” non bisogna infatti privare l’amato connazionale davvero di nulla, non c’è davvero casa che debba essere dimenticata.