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Questo giornale ha già dato conto della vittoria di un autorevole esponente dell’opposizione come presidente dell’importante ordine degli avvocati di Istanbul, che conta 65.000 iscritti.
Nello stesso giorno, sono man mano arrivati anche i risultati degli altri ordini, che votavano in simultanea. Anche ad Ankara e Smirne hanno vinto esponenti dell’opposizione all’attuale governo, confermando i precedenti orientamenti democratici.
E così pure, ma questo è quasi scontato, in tutto il territorio curdo, comprese alcune città dove nelle ultime amministrative aveva vinto lo AKP, il partito di Erdogan. E tali risultati sono stati raggiunti nonostante che il governo, nel tentativo di fare abbassare la cresta ai rappresentanti degli ordini maggiori, avesse consentito che nelle città più grandi si formassero ordini alternativi; anche se poi tale tentativo non ha sortito effetti concreti. Gli avvocati in Turchia, insomma, sembrano intenzionati a porsi alla testa di una vera e propria riscossa contro lo strame che Erdogan compie del diritto di difesa e degli altri diritti fondamentali.
Nello stesso giorno il parlamentare Devlet Bahceli, leader del partito MHP, il più a destra fra quelli che sostengono il governo, è uscito con una dichiarazione con cui chiedeva che il leader curdo Abdullah Ocalan, detenuto da quasi trent’anni in isolamento nell’isola di Imrali, venisse ascoltato dal Parlamento turco.
Cosa inaudita, che infatti ha messo un po’ in imbarazzo Erdogan.
Contemporaneamente al parlamentare Omer Ocalan, nipote di Abdullah, è stato concesso di visitare lo zio, dopo che da quasi 4 anni Abdullah non aveva potuto avere colloqui né con i familiari né con i difensori.
Un solo colloquio col rappresentante della Commissione dell’Onu contro la tortura nel 2022. Era lecito supporre e argomentare che questi elementi potessero preludere o addirittura significare una ripresa dei colloqui politici fra il governo turco e gli esponenti curdi, tanto più che Omer Ocalan, riportando le parole dello zio, aveva detto che questo non è più il momento della violenza, ma quello della politica.
Si tratterebbe di riprendere un dialogo fra le parti che nel 2015 aveva portato quasi ad un accordo su alcuni aspetti relativi all’autonomia del popolo curdo: i cosiddetti accordi di Dolmabahce.
Travolti poi dalla virata politica di Erdogan allora premier, ma non ancora presidente) che investì le città curde della Turchia con un attacco armato che, con la scusa di stanare i ribelli del PKK, in realtà mirava a piegare la resistenza e le istanze del popolo curdo.
In questo clima di rinate, sia pur fievoli speranze, si colloca l’attentato terroristico di martedì scorso alla base aerospaziale vicino ad Ankara, dove hanno trovato la morte tre addetti, due terroristi ed il bilancio forse non è ancora definitivo perché molti dei feriti sono gravissimi. Le notizie certe, per ora, sono poche: non sappiamo nemmeno se vi siano altri attentatori rimasti in vita.
Pare che uno dei due morti sia un militante del PKK, ma il ministero degli interni turco, in questi casi, non è una fonte granché affidabile. Che si tratti di attentato terroristico, però, è evidente a tutti.
Bisogna domandarsi quindi a chi vada attribuito: sembrerebbe, a qualcuno che non è affatto d’accordo col clima di distensione che da più parti si auspica.
Sia esso all’interno del governo o del PKK. Ma il governo turco, impegnato a bombardare Iraq e Siria, avrebbe forse interesse a concedere qualcosa ai curdi di casa sua, stante anche le incertezze di una più vasta guerra nell’area, assi probabile.
D’altro canto, non si può escludere, proprio per le turbolenze che si profilano, ed anzi sono già in atto, in Medio Oriente, che alcune parti del PKK abbiano deciso di abbandonare il buon senso politico di Ocalan e di agire in proprio.
Difficile sperare che le cose si chiariscano con certezza, almeno nel breve periodo.
Basti pensare che non è affatto chiaro, dopo 9 anni, di chi sia stata la responsabilità dell’orrendo attentato ad una manifestazione di giovani nell’estate del 2015, dove trovarono la morte più di 100 ragazzi, in un momento in cui il partito HDP ( oggi DEM), il più forte e deciso nell’opposizione politica al governo, era al suo massimo di consensi. Quel che si può facilmente prevedere è che Erdogan ne approfitterà per un’ulteriore stretta ai diritti non solo dei curdi, ma di tutti gli oppositori, avvocati compresi.