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Sono passate poco più di due settimane da quando il neo premier Mario Draghi annunciava i nomi dei nuovi ministri, dando forma al terzo governo di questa legislatura.
L’ex governatore della Bce ha scelto la costituzionalista e già presidente della Corte costituzionale Marta Cartabia per guidare il ministero della Giustizia. Ed è proprio la riforma della Giustizia - e in particolare la parte che prevede la modifica della disciplina sulla prescrizione, fortemente voluta dal precedente guardasigilli Alfonso Bonafede - il primo e vero banco di prova di questo governo. Sarà interessante vedere nei prossimi giorni come la guardasigilli deciderà di mettere mano alla norma, dovendo necessariamente scegliere una soluzione di bilanciamento non solo giuridica ma, anche, e soprattutto, politica.
Stando al brillante curriculum della neo ministra, parrebbe che la sua forma mentis faccia ben sperare in modifiche di stampo garantista che intendano superare tanto la riforma Bonafede così come originariamente ideata, quanto il correttivo disposto dal lodo Conte- bis, sul quale, però, il M5S non pare disposto ad indietreggiare. La stessa tenuta del governo Draghi, dunque, si verificherà anche in base all’esito della votazione relativa alla riforma penale e al modo in cui Cartabia deciderà di intervenire. Al di là di mere questioni politiche, va detto che quella di Bonafede, assai criticata da molti fronti, non solo politici ma anche istituzionali, è una riforma che inserisce la modifica alla disciplina della prescrizione all’interno di un progetto, ad oggi disorganico, ma comunque ampio. Nell’idea dell’ex ministro, il venir meno del termine prescrizionale, susseguente alla sentenza di condanna in primo grado, dovrebbe essere accompagnato da tutta una serie di modifiche al codice di rito, le quali dovrebbero accorciare notevolmente i tempi della giustizia. La ratio sottesa alla riforma, se c’è, dovrebbe essere la riduzione della durata dei processi. Ma la realtà, allo stato, è che la norma sulla prescrizione, non accompagnata da alcun correttivo, crea tutte le condizioni per un “fine pena mai”. È la prospettiva a cui verrebbero inevitabilmente sottoposti coloro che vengono condannati in primo grado – con conseguente sospensione della prescrizione – in un sistema farraginoso, burocratizzato e lento come quello italiano, in attesa del giudizio di appello e della sentenza definitiva.
Simile lentezza potrebbe venir meno grazie a tutta una serie di modifiche finalizzate ad alleggerire il carico degli uffici giudiziari come, a titolo d’esempio, un ampliamento delle maglie dell’articolo 444 c. p. p., allargando la casistica dei reati che rendono possibile accedere al rito alternativo.
Potrebbe certamente rivelarsi efficace la riduzione, o la divisione dei tempi di svolgimento delle indagini preliminari in tre fasce ( 6 mesi, 1 anno, 1 e 6 mesi), in relazione alla gravità del reato e non oltre. Così come sarebbe utile attribuire una vera centralità all’udienza preliminare, oggi mera agenda dei Tribunali.
Tuttavia, pur volendo digerire la norma che prevede la sospensione della prescrizione, premessa una sua limatura per congruità al dettato costituzionale, è necessario che i correttivi apportati dalla riforma siano realmente efficaci in ordine a un accorciamento dei tempi della Giustizia.
Più volte si è fatto presente su queste stesse pagine che solamente interventi strutturali nel settore pubblico della giustizia, che contemplino il massiccio investimento di risorse economiche, possano risolvere carenze da tempo ignorate.
Nuove assunzioni, nuovi uffici, ristrutturazione delle strutture già esistenti, più magistrati, più specializzazioni: sono questi interventi auspicabili, in luogo di continue riforme che tentano di non mettere mano al portafogli, con la conseguenza che la moneta di scambio divengono i nostri stessi diritti.
La prescrizione, è bene che si comprenda, non è un problema del nostro ordinamento, e non è la causa primigenia delle lentezze processuali. Contrariamente, è un principio di civiltà fondamentale e attualmente è l’unico pilastro che ancora regge il diritto costituzionalmente garantito a un equo processo, il quale, con il venir meno della prescrizione, verrebbe del tutto demolito, considerata la farraginosità del nostro sistema, lasciando gli imputati prigionieri del loro stesso processo. Dello stesso avviso anche il segretario dei radicali, Maurizio Turco, il quale intende portare la questione dinanzi alla Consulta, nonché il presidente delle Camere penali Gian Domenico Caiazza, che su queste stesse pagine, commentando la proposta avanzata dall’onorevole del PD Walter Verini di una “prescrizione per fasi”, definiva la riforma Bonafede come “incivile”, auspicando riforme di stampo garantista e rispettose della Costituzione.
La riforma Bonafede, insomma, se venisse applicata in toto così come ideata, comporterebbe una notevole capitis deminutio delle garanzie processuali. Pensare di poter accorciare le lungaggini della giustizia tramite semplici accorciamenti dei termini procedimentali, si risolve solamente in un ulteriore affanno per le segreterie e cancellerie degli uffici giudiziari. A nulla può essere considerato poi utile il correttivo disposto dal lodo Conte- bis, il quale, come già evidenziato da più parti, non solo risulta incostituzionale perché prevede una disparità di trattamento tra soggetti condannati e assolti in primo grado, violando la presunzione di innocenza, ma anche perché, pur volendo ammetterne la costituzionalità, risulta di difficile applicazione dal punto di vista procedurale.
Si aggiunga a ciò che, come si anticipava, la riforma Bonafede, nel sospendere/ eliminare la prescrizione, otterrebbe il paradossale effetto di rimuovere uno dei motivi più pressanti per le cancellerie e segreterie - uffici già in grave affanno per continui tagli alla spesa e per l’accorciamento dei termini procedimentali - di procedere celermente alla definizione del giudizio pena la scadenza dello stesso.
Ad ogni modo, la ministra Cartabia per ora ha guadagnato del tempo, affermando di voler discutere della questione prescrizionale nell’ambito di una riforma più ampia e organica di quella voluta dal predecessore, anche grazie all’aiuto dei partiti. Questi hanno infatti deciso in segno di sostegno e fiducia al neonato governo - e così è stato - di astenersi dal voto di quegli emendamenti presenti nel milleproroghe che contemplavano un congelamento della norma Bonafede, nell’attesa che la guardasigilli esponga un proprio progetto di riforma.
Resta dunque da attendere le proposte future, sperando che, se si ha realmente l’intenzione di mantenere l’istituto della prescrizione sospesa a tempo indeterminato, si intervenga come sopra auspicato, con modifiche rispettose dei principi costituzionali, non meramente votate al taglio di termini procedimentali.
*Avvocato, direttore Ispeg