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Il patentino vaccinale può essere previsto a condizione che il vaccino anti covid sia disponibile per tutti. Imporlo, allo stato attuale, sarebbe una forzatura. Sono questi i fili conduttori dell’analisi di Alfonso Celotto, ordinario di Diritto costituzionale all’università Roma Tre. Nella situazione attuale il rischio di creare cittadini di serie A e serie B, secondo Celotto, è alto. A detta del costituzionalista, interpellato dall’agenzia AdnKronos, la scelta delle vaccinazioni per categorie non è discriminatoria: «È opportuno precisare però che non essendo i vaccini ancora disponibili per tutti occorre fare una graduazione nel tempo. Giusto che scelga il Parlamento. Dunque una scelta politica, secondo ragionevolezza, nel senso che vanno tutelate prima le categorie più essenziali al funzionamento del Paese, come è stato per i sanitari».
Il dibattito è aperto e non può non tenere conto di orientamenti e scelte del legislatore. Sul tema del patentino vaccinale il Parlamento può fare chiarezza con un punto di riferimento imprescindibile: la Costituzione. «Se il vaccino fosse disponibile per tutti», spiega Celotto, «potrebbe essere reso obbligatorio da una legge e dunque potrebbe essere sanzionato chi non lo effettua. Nel caso italiano, conseguenze sfavorevoli ai non vaccinati possono essere predisposte a condizione che ci siano vaccini per l’intera popolazione, altrimenti si attiverebbe una discriminazione sulla base delle categorie predisposte dal Parlamento». Il rischio di una violazione costituzionale, per la precisione dell’articolo 3, non è ipotesi remota: i cittadini non vaccinati verrebbero discriminati per condizioni personali. Discriminazione paventata anche dal Consiglio d’Europa nella sua ultima risoluzione di gennaio.
«È un tema dibattuto», osserva il costituzionalista, «perché il desiderio di ripresa dell’attività economica e della socialità rischia di innescare gravi discriminazioni, disparità su basi non volontarie. Ma occorre cautela. Sì ad obbligo e patentini in Israele, dove i vaccini ci sono per tutti, ma non in Italia, dove, essendo garantite la preminenza di diritto all’uguaglianza e alla parità del trattamento, una misura del genere è incostituzionale».