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FILE - Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu speaks during a news conference in the Kirya military base in Tel Aviv, Israel, on Oct. 28, 2023. Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu told his Cabinet on Sunday that there had been a “dramatic drop” in U.S. weapons deliveries for Israel's war effort in Gaza, doubling down on a claim that the Biden administration has denied and underscoring the growing strains between the two allies. (Abir Sultan/Pool Photo via AP, File)
Dopo quasi nove mesi di guerra nella Striscia di Gaza forse Israele sta cambiando strategia, una decisione che dipende da diversi fattori come la pressione internazionale, la situazione interna con numerose manifestazioni di protesta contro il governo come è accaduto nello scorso fine settimana e i ripetuti scossoni interni all’esecutivo di Netanyahu abbandonato dai centristi.
Una conferma del cambiamento di obiettivi strategici da parte di Tel Aviv è arrivata dal ministro della Difesa Gallant, il quale ha spiegato all'inviato americano Hochstein che in questa nuova fase l’impegno maggiore dell’Idf riguarderà la situazione della sicurezza nella zona di confine con il Libano, consentendo il ritorno dei residenti alle loro case nel nord di Israele. Dopo i massacri del 7 ottobre la situazione nell'area infatti si è deteriorata; ogni giorno si registrano attacchi aerei israeliani in risposta ai missili sparati a raffica dai miliziani di Hezbollah. Israele dunque sarebbe intenzionata a rallentare le operazioni nella Striscia per spostare uomini e mezzi al confine con il Libano.
Netanyahu ha affermato così che la fase intensa della lotta contro Hamas a Gaza è quasi finita. Anche a Rafah si starebbe completando il lavoro militare anche se al momento sembra essere non piu di un auspicio. Infatti il primo ministro dello stato ebraico non ha mancato di sottolineare che ciò «non significa che la guerra stia per finire», con l'azione che continuerà fino a quando Hamas non sarà completamente cacciato dal potere. E ulteriori parole non lasciano certo tranquilli: «Possiamo combattere su diversi fronti e siamo pronti a farlo». Hezbollah infatti ha lanciato razzi e droni nel nord di Israele a sostegno di Hamas dal giorno dopo gli attacchi del 7 ottobre nel sud di Israele.
Netanyahu comunque ha anche detto di essere pronto per un accordo parziale che garantisca il rilascio dei restanti 116 ostaggi ancora prigionieri. Hamas, da parte sua, chiede un cessate il fuoco permanente e il ritiro completo di Israele dalla Striscia come parte di qualsiasi accordo, condizioni nettamente rifiutate da Netanyahu nonostante il piano presentato a maggio da Biden e la risoluzione votata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Tutto ciò mentre sul campo in realtà il conflitto è ancora violento. L'IDF ha annunciato ieri di aver ucciso un comandante di Hamas responsabile dei progetti e dello sviluppo presso il quartier generale della produzione di armi del gruppo in un attacco aereo notturno, senza fornire le indicazioni del luogo. E nonostante gli annunci le truppe stanno continuando a effettuare raid nell'area di Rafah localizzando armi, smantellando diversi tunnel sotterranei.
Per quanto riguarda l'area al confine del Libano Netanyahu ha affermato che il dispiegamento delle truppe sarebbe prima di tutto a scopo difensivo, per le migliaia di israeliani sfollati: «Se possiamo, lo faremo diplomaticamente. In caso contrario, lo faremo in un altro modo. Ma riporteremo a casa tutti». Israele vuole che Hezbollah accetti di ritirare i suoi combattenti a diversi chilometri dal confine, in linea con una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite approvata alla fine della guerra nel 2006. Tuttavia, Hezbollah afferma che non ci sarà alcun accordo di cessate il fuoco prima che ce ne sia uno a Gaza.