Non appena “Wing of Zion”, l’Air Force One del primo ministro israeliano, ha spiccato il suo primo volo per Washington, sulla pagina X del più importante esponente politico d’Israele è comparso un post che riassume il punto di vista di Benjamin Netanyahu: «In questo periodo di guerra e incertezza, è fondamentale che i nemici di Israele sappiano che Stati Uniti e Israele stanno insieme oggi, domani e sempre».

Netanyahu sarà il primo rappresentante di un governo estero a vedere il presidente Joe Biden, ritiratosi domenica scorsa dalla campagna elettorale del 5 novembre. L’appuntamento è previsto per domani. Oggi invece ci sarà l’incontro con i deputati e i senatori statunitensi in una sessione congiunta del Congresso, su invito del presidente della Camera, il repubblicano Mike Johnson.

La visita oltreoceano, mentre Israele è costretto a gestire ben tre fronti di crisi – Striscia di Gaza, Libano e Yemen -, servirà a mantenere alta l’attenzione sulla campagna militare avviata dopo i massacri del 7 ottobre e a preservare l’appoggio del prezioso alleato americano nella guerra contro Hamas. Non a caso nella missione americana sono presenti alcuni cittadini liberati dopo gli assalti di quasi dieci mesi fa e i parenti di ostaggi ancora nelle mani dei combattenti palestinesi. Con Netanyahu, a Washington, c’è anche Noa Argamani, la 26enne rapita il 7 ottobre durante il “Nova Festival” e riportata a casa a giugno. Le immagini, mentre veniva portata via su una moto da due miliziani di Hamas hanno fatto il giro del mondo.

Bibi farà presente all’alleato statunitense che le operazioni sulla Striscia di Gaza proseguiranno fino al completo sradicamento di Hamas e alla liberazione di tutti gli ostaggi, e che Israele intende vivere in sicurezza. «Non sono disposto in alcun modo – ha detto Netanyahu - a cedere per conseguire la vittoria su Hamas. Se rinunciamo a questo, saremo in pericolo di fronte all'intero asse del male dell'Iran. Le decisioni che prendiamo sono fondamentali per il futuro dello Stato di Israele. Per quanto riguarda l’accordo per liberare gli ostaggi, le condizioni stanno diventando mature, senza dubbio. Questo è un buon segno e lo spirito del nemico sta iniziando a cedere».

Il Netanyahu pensiero verrà ribadito tanto a Biden – che comunque resterà in carica altri sei mesi – quanto al futuro inquilino della Casa Bianca (Kamala Harris o Donald Trump). Il tycoon ha confermato sui social che incontrerà il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, nella sua residenza a Mar- a- Lago, a margine della sua visita negli Stati Uniti. Trump, che aveva evocato un meeting mercoledì, ha parlato invece di un incontro giovedì sul suo social network Truth.

Trump è un grande sostenitore di Israele e nel 2017 ha riconosciuto Gerusalemme come capitale dello Stato ebraico, decidendo di trasferirvi l'ambasciata di Washington. Tra i due leader è calato il gelo dopo che Trump non ha perdonato a Netanyahu le congratulazioni espresse a Biden per l’elezione nel 2020. Inoltre, “The Donald” ha criticato Netanyahu per il fallimento dell’intelligence israeliana che non è riuscita a prevedere e a evitare i massacri di Hamas dello scorso ottobre.

Sulla crisi in Medio Oriente Trump più volte si è espresso e ha chiesto a Netanyahu di arrivare rapidamente a un accordo per liberare gli ostaggi. In caso contrario i rapporti tra Usa e Israele potrebbero incrinarsi. «Meglio che tornino prima che io assuma l'incarico, altrimenti pagherete un prezzo molto alto», ha commentato Trump con la solita spigolosità nel discorso di Milwaukee, durante la convention repubblicana.

A Washington il primo ministro israeliano ha incontrato ieri con la moglie Sara, che lo segue in questa trasferta, i familiari degli ostaggi che vivono negli Stati Uniti. Erano presenti anche i soldati che hanno combattuto il 7 ottobre e che fanno parte della delegazione proveniente da Gerusalemme. «Si tratta – ha evidenziato Benjamin Netanyahu - di una visita importante, che ci darà l’opportunità di sottolineare ai rappresentanti delle istituzioni americane e allo stesso popolo americano l’importanza del loro sostegno verso i nostri sforzi per ottenere il rilascio di tutti gli ostaggi, vivi e deceduti. Siamo determinati a portare tutti a casa. Le condizioni per fare ciò stanno diventando mature per la semplice ragione che la pressione è sempre più forte su Hamas».

Il rappresentante del governo israeliano ha fatto cenno al rispetto della legge internazionale: «Sto facendo tutto ciò che è in mio potere per coniugare il necessario obiettivo umanitario con l’imperativo di restituire gli ostaggi e, allo stesso tempo, preservare l’esistenza dello Stato di Israele».

Gli appuntamenti oltreoceano stanno creando non pochi malumori in Israele e negli Stati Uniti. Oltre ai familiari che si sono spostati con la delegazione guidata dal primo ministro, a Washington sono giunti anche i parenti di alcuni ostaggi e di alcune vittime del 7 ottobre per protestare contro Netanyahu e gli altri rappresentanti dello Stato di Israele.

All’esterno del Congresso americano mostreranno alcuni cartelli. Una mini contestazione proprio come le tante manifestazioni che si tengono ogni settimana a Tel Aviv e a Gerusalemme, nelle quali si chiedono le dimissioni del primo ministro. I dimostranti si sentono abbandonati e traditi; secondo loro, il governo sta portando Israele in un vicolo cieco in cui violenza chiama violenza. «Vogliamo evidenziare - ha affermato Yehuda Cohen, padre di Nimrod, un soldato ancora prigioniero a Gaza - la differenza tra il popolo di Israele e il governo di Israele». «Non dobbiamo aver paura di criticare il governo israeliano per quanto sta facendo», ha aggiunto Cohen interpellato da Haaretz.