«Chi ha commesso violenze quel giorno, ovviamente non dovrebbe essere graziato». Ancor prima che la cerimonia ufficiale del 20 gennaio consacri la nuova amministrazione Trump, il popolo Maga è già in fermento per le parole del prossimo vicepresidente degli Stati Uniti JD Vance, che ha scatenato l’ira dei suoi seguaci con le dichiarazioni rilasciate a Fox News Sunday nella sua prima intervista televisiva dopo il trionfo alle urne dello scorso novembre.

Parlando con l’emittente americana, il numero due della Casa Bianca ha infatti “messo in dubbio” la posizione granitica del presidente eletto sui fatti di Capitol Hill. Ovvero l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021, quando centinaia di sostenitori di Donald Trump misero a ferro e fuoco la sede del Congresso per contestare l’elezione di Joe Biden, con un bilancio di cinque vittime e altre morti, come i suicidi di alcuni agenti, che si considerano collegate a quell’episodio.

Da allora sono passati quattro anni e oltre 1500 persone incriminate per aver preso parte all’assalto non attendono altro che l’arrivo del leader repubblicano per spazzare via tutte le accuse. Trump glielo ha promesso a più riprese, in questi ultimi mesi, parlando dei manifestanti dell’area Maga condannati per i fatti di Capitol Hill come di «prigionieri politici», veri e propri «ostaggi» di un sistema giudiziario politicizzato e corrotto.

Al punto che il primo atto, il più atteso da parte del nuovo presidente, è proprio la concessione della grazia nei confronti dei manifestanti rinchiusi in carcere. Un impegno ribadito dal tycoon lo scorso dicembre - quando Joe Biden ha accordato una grazia “piena e incondizionata” a suo figlio Hunter - che nelle intenzioni dovrebbe includere anche coloro che hanno ammesso di aver aggredito gli agenti. Anche se ora sembra che le cose possano andare diversamente: siamo di fronte alla prima promessa da campagna elettorale “tradita”? O si tratta del primo “strappo” tra Donald Trump e il suo vice? Quel che è certo è che la base elettorale che ha riportato il tycoon nello Studio Ovale non ha gradito l’uscita. E lo stesso JD Vance è corso subito ai ripari.

Dopo aver spiegato che la grazia dovrebbe riguardare solo coloro che «hanno protestato pacificamente», il futuro vicepresidente ha chiarito la propria posizione sui social, rassicurando i militanti insorti sul web sul fatto che l’opzione è ancora sul tavolo, e che Trump valuterà singolarmente le posizioni dei manifestanti condannati. «Prima di tutto - scrive Vance su X -, ho fatto delle donazioni al fondo per i prigionieri politici del 6 gennaio e sono stato “arrostito” per questo durante la mia corsa al Senato. Ho difeso questi ragazzi per anni. Secondo punto: tra la folla c’erano anche degli informatori federali. Dovremmo graziare anche loro? Non credo. Dire, come fa il presidente e come faccio io, che valuteremo caso per caso, non è un passo indietro. Ve lo assicuro: abbiamo a cuore le persone ingiustamente rinchiuse. E sì, questo include le persone che sono state provocate e coloro che hanno subito un processo- spazzatura». Come dire che anche chi ha agito in maniera violenta, lo ha fatto perché “costretto”. Una ritirata in piena regola, dunque, quella di Vance, che era finito subito nel mirino del militante di estrema destra Nicholas Fuentes. «Se Trump ha ricevuto la carta “esci gratis di prigione”, allora dovrebbero averla anche tutti i suoi sostenitori che si sono radunati per lui il 6 gennaio», ha scritto Fuentes sui social.

Con riferimento a tutti i guai giudiziari del tycoon spazzati via con la sua elezione, tra cui anche il procedimento a carico di Trump per i fatti Capitol Hill, che si è concluso con l’archiviazione. Per gli altri, i suoi sostenitori, non resta che la grazia. Compreso chi, come il militante Antony Vo, ha chiesto asilo in Canada dopo la condanna a nove mesi di carcere.