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Almeno undici centri ebraici degli Stati Uniti hanno ricevuto minacce di attentati bomba e sono stati evacuati, mentre nella notte fra lunedì e martedì oltre 100 tombe del cimitero ebraico di St Louis, in Missouri, sono state profanate, alcune anche con svastiche sulle lapidi. Fortunatamente nessuno degli allarmi bomba si è rivelato reale, ma le minacce hanno avuto l’effetto di terrorizzare la comunità ebraica americana che con la presidenza Trump è finita sotto una pressione che non ricordava da tempo. «Il numero dei gruppi che incitano all’odio è vicino ai massimi storici, grazie all’ondata di ' populismo di destra' scatenata dalla campagna elettorale» ha comunicato il Southern Poverty Law Center che segue l’estremismo negli Usa. Il centro ha anche rilevato come l’antisemitismo e gli attacchi rivolti agli ebrei americani «abbiano raggiunto livelli che non si vedevano dalla fine della seconda guerra mondiale». Secondo la Jcc, l’associazione dei centri ebraici del Nord America, nell’ultimo mese sono state registrate 69 minacce e intimidazioni in 54 centri ebraici in 27 Stati americani e in una provincia canadese.
Nonostante questi numeri, il presidente Trump continua a rimanere vago sul tema: «La Casa Bianca condanna le violenze mosse dall’odio e dal disprezzo di qualsiasi genere» si leggeva nel primo comunicato di commento a quanto successo. Quasi contemporaneamente Ivanka, la figlia del presidente convertita all’ebraismo dopo il matrimonio con Jared Kushner, twittava la sua condanna facendo riferimento specifico all’odio antisemita. Parola che non è comparsa nemmeno nelle comunicazioni successive dello Studio Ovale. Anzi: «Il Presidente ha già abbondantemente chiarito di ritenere inaccettabili queste azioni» riferiva il suo staff in risposta alle pressioni delle associazioni ebraiche per avere una parola chiara e definitiva sulle violenze contro la loro comunità. Ancora ieri mattina Haaretz pubblicava un intervento di Morton Kleir, presidente della Zionist Organization of America e convinto supporter di Trump, che inviata quest’ultimo a «dire forte e chiaro che l’America non tollererà alcun tipo di violenza contro gli ebrei».Nel corso di un’intervista alla Nbc in cui era stato di nuovo sollecitato sull’argomento, Trump ha finalmente detto che «l’antisemitismo è una cosa orribile che dovrà essere fermata».
Una titubanza che preoccupa sempre più la comunità ebraica americana, anche perché recentemente Trump aveva eluso due opportunità per rassicurarla in un momento difficile. Durante una conferenza stampa della settimana scorsa un giornalista ebreo ultraortodosso gli aveva chiesto cosa intendesse fare contro l’antisemitismo, ma Trump non gli ha nemmeno permesso di finire la domanda. Al contrario ha inscenato una reazione rabbiosa e ha cominciato a difendersi dall’accusa personale di antisemitismo, in realtà mai pronunciata dal giornalista. Stessa domanda gli era già stata posta da un altro giornalista israeliano durante la conferenza stampa con Netanyhau e anche in quell’occasione Trump non pronunciò la parola antisemitismo, limitandosi a un generico impegno contro il razzismo. Risposta che lo stesso Netanyhau si affrettò a integrare, garantendo personalmente sulla vicinanza del collega al popolo ebraico.
Sono tutti indizi che non fanno dormire sonni tranquilli alla comunità ebraica e che seguono altri già messi in risalto dai media. L’ultimo in ordine di tempo risale alla Giornata della Memoria, il 27 gennaio. Nel suo discorso Trump riuscì a non nominare mai le parole "ebrei" e "ebraico" limitandosi a un vaghissimo "vittime dell’Olocausto". Appare quindi scontato che molti in queste ore vadano a rileggersi preoccupati le idee di Steve Bannon, ideologo e consigliere di Trump, nonché suo uomo nel Consiglio per la sicurezza nazionale. Noto suprematista bianco e cristiano, Bannon ha più volte fatto uscite tacciabili di antisemitismo, come nel 2007, quando scrisse un documentario, mai girato, chiamato "Gli Stati islamici d’America" in cui definiva gli ebrei americani «fiancheggiatori» del jihad.