Maylan aveva sedici anni il giorno che si è imbarcata su un piccolo veliero monoalbero partito dalla Turchia verso le coste dell’Italia. Scappava dal Kurdistan iracheno, e su quel barchino carico all’inverosimile ci era salita assieme a sua madre e al fratellino. Maylan non è mai arrivata in Italia, vittima dell’ennesimo viaggio della speranza naufragato, nel giugno scorso, a un centinaio di miglia dalle coste calabresi. Solo 11 persone, delle oltre sessanta che si erano imbarcate su quel barchino maledetto dalla spiaggia di Bodrum, sono riuscite a raggiungere la costa, salvate da un diportista francese dopo giorni passati aggrappate alla barca semi affondata e in balia del mare.

Yasmine invece di anni ne ha appena 11 quando, su un barcone in ferro partito dalle coste tunisine, tenta assieme al fratello la traversata del Mediterraneo centrale per raggiungere l’Europa. Da giorni era alla deriva a bordo di una zattera improvvisata. A recuperarla in mare appena un paio di settimane fa – stremata ma ancora viva – è stata una nave di una delle Ong che pattugliano il Mediterraneo centrale, unica sopravvissuta di un “carico” di più di quaranta persone sconfitto dal mare in tempesta. Sono sempre di più i ragazzini che, spesso da soli, intraprendono il lungo viaggio che dalle coste del nord Africa e da quelle della Turchia dovrebbe portarli in Europa. Secondo l’ufficio regionale dell’Unicef per l’Europa e l’Asia centrale, rappresentano addirittura il 20% del totale dei migranti in fuga da fame e guerra attraverso il Mare Nostrum. Un esercito di minori che sogna l’Europa e che, sempre più spesso, trova la morte durante la traversata. Dal 2018, fa i conti l’agenzia Onu per i diritti dei bambini, sono più di 1500 i minori morti durante il tentativo di traversata del mare. Solo nel 2023 i morti e gli scomparsi con meno di 18 anni erano stati 289. Un numero terribile che anche durante il 2024, si è drammaticamente aggiornato di “centinaia di bambine, bambini e adolescenti”.

«Una persona ogni cinque che migra attraverso il Mediterraneo – spiega in una nota Regina De Dominicis dell’Unicef – è minorenne. La maggior parte di loro fugge da conflitti violenti e dalla povertà». Un copione che si ripete uguale a se stesso da anni quello dei minori che tentano la traversata in mare per raggiungere amici e familiari già arrivati, spesso con altri viaggi della speranza, sul suolo europeo. Un copione che è addirittura peggiorato in seguito al naufragio di Steccato di Cutro in cui morirono oltre 90 migranti: il decreto seguito alla strage sulla spiaggia calabrese ha infatti ristretto i termini dell’accoglienza, riducendo la possibilità dei ricongiungimenti legali. «I Governi devono affrontare le cause profonde della migrazione e sostenere l'integrazione delle famiglie nelle comunità ospitanti, assicurando che i diritti dei bambini siano protetti in ogni fase del loro viaggio – dice ancora De Domicinic – l’Unicef chiede ai governi di utilizzare il Patto sulla migrazione e l’asilo per dare priorità alla salvaguardia di bambine e bambini. Ciò include la garanzia di percorsi sicuri e legali per la protezione e il ricongiungimento familiare, nonché operazioni coordinate di ricerca e salvataggio, sbarchi sicuri, accoglienza su base comunitaria e accesso ai servizi di asilo. Chiediamo inoltre maggiori investimenti nei servizi essenziali per i bambini e le famiglie che arrivano attraverso rotte migratorie pericolose, tra cui il sostegno psicosociale, l'assistenza legale, l'assistenza sanitaria e l'istruzione» . L’accesso ai percorsi sicuri però è sempre più difficile e spesso, la soluzione più accessibile ai migranti, arriva dalle organizzazioni criminali che si occupano del trasporto in mare verso le coste dell’Europa meridionale. Un affare diventato negli ultimi venti anni, un business milionario, con i “passaggi” a bordo delle carrette del mare che possono arrivare a costare fino a 8 mila euro a persona.

Un traffico continuo di disperati che seguono principalmente due rotte: una, la più breve e maggiormente trafficata, che lungo il Mediterraneo centrale collega le coste del nord Africa alla Sicilia, l’altra, molto più lunga, che unisce, dopo un viaggio di circa cinque giorni attraverso l’Egeo, le coste della Turchia a quelle della Calabria. Rotte pericolose che, solo nell’anno appena trascorso, nonostante il calo del numero degli sbarchi, hanno provocato centinaia tra morti e dispersi: «Il bilancio delle vittime e il numero dei dispersi nel Mediterraneo nel 2024 – dice ancora la coordinatrice speciale per la risposta ai rifugiati e ai migranti in Europa, Regina De Dominicis – hanno superato i 2200, con quasi 1700 vite perse solo nel Mediterraneo centrale». Una strage continua i cui numeri sono presi per difetto, visto che molti naufragi non lasciano sopravvissuti e, in diversi casi, non vengono neanche registrati, rendendo di fatto praticamente impossibile tenere il conto di quante vite si perdano ogni anno.