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Aveva governato la “sua” Tunisia con il pugno di ferro ma fu deposto in un solo giorno dalla Rivoluzione dei Gelsomini. La parabola di Zine El Abidine Ben Ali si è conclusa ieri all’età di 83 anni in un’ospedale di Gedda in Arabia saudita, dove era in esilio politico dal 2011. Come spiega il suo avvocato Mounir Ben Salha «era molto malato» a causa di un tumore alla prostata contro cui combatteva da anni.
Salito al potere con un colpo di Stato “medico” nel 1987, Ben Ali ha dominato la vita politica della Tunisia per quasi un quarto di secolo periodo durante il quale il paese ha stretto la vite della repressione nei confronti degli oppositori ma allo stesso tempo consolidando i rapporti diplomatici con le cancellerie occidentale, in particolare con la Francia, ex dominatore coloniale del paese maghrebino.
La prima fase della sua carriera politica avviene all’ombra del “padre” dell’indipendenza e primo presidente della Tunisia indipendente Habib Bourguiba; si occupa di forze armate e dirige per oltre un decennio il Dipartimento di sicurezza militare, un savoir faire che si rivelerà utile per consolidare il suo futuro regime. Poi gli incarichi diplomatici alle ambasciate tunisine in Marocco, Spagna e Polonia. Negli anni 80 entra al governo, prima come ministro dell’interno e successivamente come primo ministro.
Il presidente Bourguiba si ammala gravemente un mese dopo la sua nomina e in questo frangente Ben Alì si rivela molto abile, imponendo ai medici di dichiarare Bourguiba «incapace di governare» e diventando automaticamente Capo dello Stato. Sotto la sua guida autoritaria la Tunisia conosce una crescita economica ( diventando il paese più «competitivo» dell’Africa) ma anche una forte riduzione dei diritti fondamentali e delle libertà politiche con la compiacenza dei paesi occidentali a cui faceva comodo quel piccolo satrapo nemico degli integralisti islamici e amico dei mercati finanziari.
Costruisce attorno sé un vero e proprio clan, fatto di parenti e fedelissimi che accumulano in quegli anni ricchezze faraoniche, un sistema nepotistico e clientelare che gli varrà diverse condanne penali dopo la sua caduta. Le prime elezioni vennero indette nel 1999, 12 anni dopo la presa del potere, ma furono una farsa: Ben Alì è rieletto presidente con il 99,66% dei suffragi.
Nel 2004 si torna alle urne e Ben Alì raccoglie il 94,5% dei voti, forte anche della riforma costituzionale che ormai gli permette di governare il paese senza limiti di mandato.
Ma i nodi stanno venendo al pettine, il sogno liberista di rendere la Tunisia prospera e allettante si trasforma rapidamente in un incubo, l’economia non va più bene, anzi va malissimo, gli investimenti stranieri fuggono, i mercati chiedono il conto, salatissimo per le classi medio- basse, la crisi sociale si propaga rapidamente tra la popolazione, l’inflazione sale alle stelle, la disoccupazione diventa virale, i tunisini perdono il lavoro e chiedono il pane nelle piazze; la rivolta è contagiosa e nel gennaio 2011 il regime crolla come un castello di carte.
Sarà il battesimo delle “primavere arabe” e anche l’unica rivoluzione che è riuscita a portare la democrazia e non il solito circolo vizioso tra dittature militari e terrorismo islamista. Il 14 gennaio fugge a Gedda, dove rimane fino alla morte, condannato in contumacia dalla magistratura tunisina.