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È morto a Milano l'11 aprile scorso Alberto Franceschini, uno dei fondatori delle Brigate Rosse insieme a Renato Curcio e Mara Cagol. Lo ha confermato l’avvocato Davide Steccanella all’Adnkronos.
Nato a Reggio Emilia il 25 ottobre 1947, Franceschini militò da giovane nella Figc prima di fondare, nel 1970, le Brigate Rosse. Con Mara Cagol partecipò alla prima azione di guerriglia: l’incendio dell’autorimessa di Giuseppe Leoni, direttore del personale della Sit Siemens, il 17 settembre 1970 a Milano.
Nel corso degli anni subì diverse condanne, tra cui quella per concorso anomalo nell'omicidio di due esponenti missini a Padova, il 17 giugno 1974. Partecipò anche al sequestro del giudice Mario Sossi a Genova. Secondo il giudice Guido Salvini, fu proprio Franceschini a favorire la liberazione di Sossi, senza mai macchiarsi direttamente di reati di sangue.
Arrestato insieme a Curcio l’8 settembre 1974, divenne una figura centrale nelle carceri speciali. Promosse il "processo guerriglia" a Torino, la rivolta dell'Asinara nel 1979, e contribuì alla scrittura di testi come L'ape e il comunista, che segnò la prima frattura interna contro la linea di Mario Moretti.
In seguito aderì al Partito Guerriglia di Giovanni Senzani e sostenne la "caccia all'infame", che portò a brutali esecuzioni di militanti accusati di delazione. Minacciò di morte anche Toni Negri nel carcere di Palmi, accusandolo di voler trattare con l’autorità giudiziaria. Nel dicembre 1983 avviò uno sciopero della fame nel carcere di Nuoro contro le limitazioni dell'articolo 90.
La svolta arrivò nel 1987, con la legge sulla dissociazione: Franceschini fu tra i primi a firmare l'impegno a Rebibbia il 21 febbraio. Ottenne la semi-libertà nel gennaio 1988 e, dopo anni di lavoro nella cooperativa "Ora d'aria", il Tribunale di Cagliari dichiarò estinta la sua pena nel giugno 1992. Tuttavia, fu nuovamente arrestato per un ricalcolo della pena legato al duplice omicidio di Padova. Dopo forti pressioni politiche, la Corte d'Assise di Venezia confermò la scarcerazione definitiva il 9 novembre 1992, dopo 18 anni di carcere.
Negli ultimi anni aveva lavorato per Arci a Roma e a Milano, dove serviva ai tavoli. Lo scorso anno partecipò a Milano a una commemorazione per Alexei Navalny, venendo identificato tra i presenti dalla Digos.
Fin dalla metà degli anni Settanta aveva preso le distanze dalle Brigate Rosse, raccontandone i retroscena nei suoi libri.
«L'ho saputo ora da suoi colleghi. Mi dispiace. Non sapevo stesse male. È stata un'esperienza lontana ma molto coinvolgente», ha commentato all'Adnkronos l'avvocato Ambra Giovene, che in passato lo aveva difeso.