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È una donna, orgogliosamente avvocata e milanese. «Sono consapevole che esserlo a Milano è un onore e un onere: è un Foro straordinario, ci sono colleghi che rappresentano l’eccellenza della professione anche a livello internazionale, ed è inevitabile sentire il peso della responsabilità». Monica Bonessa parla innanzitutto da modello di laboriosità lombarda, rigorosissima, consapevole della competizione in cui è immersa, ispirata a un’idea sacra del dovere, prima ancora che da mamma. Eppure si è vista negare il legittimo impedimento in vista di un’udienza, alcuni giorni fa, dal suo Tribunale, «nonostante mi trovassi all’ottavo mese di gravidanza e con il rischio di parto prematuro». Ecco. Poi aggiunge: «Prima ancora che per lo stato di maternità, l’ho chiesto per il diritto alla salute di mia figlia. E ancora di più, per il diritto di difesa del mio assistito, che invece ho dovuto affidare a un collega, bravissimo ma costretto a studiarsi in mezza giornata un anno di causa».
L’avvocata Bonessa si tiene sempre un passo indietro, nel raccontare la sua storia esemplare. Insiste nel parlare dei diritti altrui, meno che del suo di donna in maternità. Eppure da un anno e mezzo in Italia è in vigore la legge fortemente voluta dal Consiglio nazionale forense, che in ambito civilistico impone appunto al giudice, “ai fini della fissazione del calendario”, di tenere conto “del periodo compreso tra i due mesi precedenti la data presunta del parto e i tre mesi successivi”. Certo, nel processo penale la norma è più secca, e configura il legittimo impedimento senza subordinarlo al bilanciamento, da parte del giudice, con un eventuale grave pregiudizio alle parti nelle cause urgenti, com’è invece previsto, appunto, nel civile.
Quello che le è successo è sintomatico di un limite culturale?
Intanto vorrei precisare. Fino a luglio, le udienze previste per la causa che ho chiesto di rinviare erano quattro. Avevo chiesto il rinvio per una delle udienze e la proroga termini per l’altra. Nel primo caso c’è stato il diniego del giudice. Nel secondo, nonostante il parere sfavorevole della controparte, il rinvio è stato accordato. Mi pare emblematico.
Di cosa, esattamente?
Di una certa insufficiente umanità. Anche tra colleghi. L’ho scritto al presidente del Tribunale: proprio perché la nostra è una sede giudiziaria eccellente, della quale sono orgogliosa di far parte, mi chiedo dove vi sia stata accantonata l’umanità.
Si riferisce anche al giudice?
Mi riferisco più in generale a un’idea distorta, deformante della maternità. Intesa come se fosse un carico che la donna deve assumersi in via esclusiva nel momento in cui decide di mettere insieme famiglia e lavoro.
Non per tutti è così: mentre la legge era all’esame del Parlamento, la presidente aggiunta dell’ufficio gip di Milano, Ezia Maccora, disse al Dubbio di riconoscere già la gravidanza come legittimo impedimento.
Certo, non per tutti è così. Ma io accetto la sfida. Ho voluto la ’ bicicletta’, ossia la maternità sovrapposta al lavoro. Pedalo. Però pretendo il rispetto della salute di mia figlia e quello del diritto di difesa del mio assistito.
Che potrebbe essere favorito dal riconoscimento dell’avvocato in Costituzione?
Sono convinta che si tratti di un riconoscimento importantissimo. Il diritto di difesa è essenziale, e l’avvocato ha un ruolo imprescindibile: in aula trattiamo della vita delle persone, dei diritti fondamentali, di questioni di rilevanza enorme. Custodi di un valore su tutti gli altri.
A quale si riferisce?
Al diritto di difesa a cui corrisponde l’affidamento al difensore. L’assistito ci rivela i suoi segreti. Ecco. Questo mi fa dire che il riconoscimento anche costituzionale del ruolo dell’avvocato ci chiama a una responsabilità
Si riferisce all’avvocatura in generale?
Sì, il riconoscimento va onorato con una presa di coscienza. Bisogna essere all’altezza. Cito un episodio tra i tanti che mi sono stati raccontati in queste ore, da quando ho reso pubblica su facebook la mia vicenda personale. Mi è stato detto di una collega costretta ad abbandonare l’udienza in barella, trasportata in ospedale con l’ambulanza perché le si erano rotte le acque. Il difensore della controparte ha detto al giudice: ’ Andiamo avanti con l’udienza’. Non è possibile.
È mostruoso.
Ed è soprattutto ingiustificabile. Prima ancora che il nostro ruolo venga sancito in Costituzione, noi non possiamo ignorarlo perché il nostro ruolo sociale è affermato all’articolo 1 del nostro codice deontologico. Siamo richiamati al rispetto della persona, alla tutela sacra dei diritti fondamentali. Vuol dire rispettare anche i diritti fondamentali degli altri avvocati, come avrebbe dovuto essere per la collega portata via in ambulanza e anche per me, che ho trovato una controparte contraria al rinvio. Il rispetto non può venir meno tra noi. Neppure in un Tribunale di eccellenza e ultra competitivo come quello di Milano.