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All’alba una pioggia di missili dalla Striscia e dal sud del Libano si abbatte su Israele mentre il Paese ricorda le vittime del 7 ottobre 2023.
I sistemi di difesa dello Stato ebraico sono riusciti a neutralizzarne la gran parte, ma diverse esplosioni si sono udite a Tel Aviv, ai valichi di Rafah, al valico di Kerem Shalom e al kibbutz Holit, vicino al confine con Gaza. Anche se non si registrano feriti ci sono stati danni a palazzi e veicoli. Secondo i media israeliani l’Idf avrebbe anche sventato un «attentato maggiore» previsto per ieri mattina, bombardando alcuni tunnel e alcune postazioni di Hamas sempre a Gaza. Il movimento islamista palestinese voleva celebrare a suo modo i pogrom del 7 ottobre che ancora ha definito «un glorioso atto di eroismo e di resistenza».
A un anno esatto dagli assalti ai kibutz e al Festival Supernova le cerimonie si sono svolte in un clima di massima allerta con tutti i servizi di sicurezza mobilitati a trecentosessanta gradi. Ma non senza polemiche: a Gerusalemme le famiglie degli ostaggi ancora detenuti a Gaza - circa 100, si sono riunite davanti alla residenza del primo ministro Benjamin Netanyahu a Gerusalemme per contestare il governo e il suo rifiuto intransigente di negoziare una tregua e uno scambio di prigionieri per riportare a casa i propri cari.
Bersagliato dalle critiche il premier si è rivolto direttamente ai parenti delle persone rapite affermando che la loro liberazione è una priorità del suo governo. Fino ad ora non è stato così e la volontà di distruggere militarmente il nemico ha prevalso decisamente sulla necessità di salvare la vita a cittadini israeliani infrangendo una “dottrina” che ha sempre guidato i governi di ogni colore. Questa rottura permette a Hamas di sfruttare le tensioni interne e di affiancare la guerra psicologica a quella guerreggiata. Abou Obeida, portavoce delle brigate al-Qassam in tal senso rigira il coltello nella piaga: «Noi diciamo agli israeliani che avreste potuto recuperare vivi tutti i vostri ostaggi un anno fa, ora la loro situazione psicologica e sanitaria, è diventata molto difficile», afferma in un comunicato
La strage di un anno fa, la più sanguinosa nella storia di Israele, è stata ricordata anche in tutto il mondo occidentale, da New York a Parigi, da Londra a Roma, dove la premier Giorgia Meloni ha partecipato a una commemorazione nel Tempio maggiore del quartiere ebraico. La guerra contro Hamas e Hezbollah si prospetta lunga e cruenta, un conflitto «di logoramento» come sperano le milizie anti-israeliane, in un contesto in fondo già noto bri raid aerei e combattimenti di terra a colpi di artiglieria.
Del tutto diversa e con esiti potenzialmente devastanti la guerra diretta con il regime di Teheran, un’ipotesi tutt’altro che remota dopo il lancio di missili balistici sulle città israeliane della scorsa settimana a cui seguirà l’inevitabile reazione dell’Idf. Tutto sta nel capire in quali forme e in quale momento si concretizzerà la risposta. Si pensava che l’anniversario del massacro degli ebrei potesse coincidere con l’annunciato attacco all’Iran degli ayatollah, ma l’esercito israeliano ha sempre giocato sull’effetto sorpresa, scegliendo con cura le metodologie e il momento in cui colpire.
Intanto le autorità militari israeliane Israele non hanno ancora la conferma che il potenziale successore di Hassan Nasrallah, Hashem Safieddine, sia morto. Lo ha chiarito il portavoce del governo David Mencer, in un briefing online con i giornalisti. «Non abbiamo ancora conferme in merito», ma «quando sarà confermata, se e come, daremo la notizia sul sito delle Idf», ha dichiarato.
Nasrallah è stato ucciso in un raid aereo israeliano il 27 settembre a Dahiyeh, sobborgo meridionale di Beirut. Safieddine, suo cugino, potrebbe essere stato ucciso in un raid simile nella stessa zona, considerata roccaforte di Hezbollah, nella notte tra giovedì e venerdì scorsi.