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Una donna nera aggredita e brutalizzata dalla polizia, un giovane professore universitario che prende le sue difese che viene a sua volta seviziato dagli agenti. La testimonianza che segue è uno squarcio di ordinario razzismo nella Francia degli attentati jihadisti, della caccia al burquini e dello stato d'emergenza. L'insegnante si chiama Guillaume Vadot ed è uscito dall'anonimato denunciando abusi dei poliziotti commessi nella più totale impunità. Il suo racconto pubblicato su facebook è stato condiviso da decine di migliaia di persone prima che non venisse censurato dal socialnetwork in quanto «non conforme agli standard».Sto uscendo da una stazione del metrò alla periferia di Parigi con un'amica a fine giornata. Mentre passiamo i tornelli sentiamo delle grida. Non delle grida normali ma un urlo di dolore, intenso. Capiamo subito che sta succedendo qualcosa. Come altre persone accanto a me lo sguardo è catturato dalla scena che si svolge alla nostra sinistra. Una donna nera sulla cinquantina è ammanettata, è lei che sta urlando e le manette le segano i polsi, non ne può più. Tra lei e il piccolo capannello di persone che si è formato ci sono circa trenta poliziotti equipaggiati con un cane lupo.Le persone sono preoccupate, il clima è molto teso, tutti si chiedono cosa sta succedendo, perché stanno torturando quella donna in mezzo alla strada. La scena è impressionante, assomiglia all'uccisione di Adama Traoré (una ragazza nera di 24 anni uccisa da due gendarmi lo scorso luglio durante un arresto n. d. r. ) o alle immagini delle mobilitazioni degli afroamericani negli Stati Uniti: una fila di poliziotti che fronteggia una fila di residenti neri. Loro hanno le idee chiare e nessuna fiducia nelle forze dell'ordine. Un signore mi racconta come suo fratello è stato fermato senza motivo, sbattuto in una cella e violentato. I poliziotti ci dicono di «levarci di torno».Io ho paura per quella donna, paura di quella scena razzista. Tiro fuori il telefono per filmare, mi dico che così potrò documentare la scena, impedire l'impunità degli agenti. Il tutto dura un minuto. Un poliziotto mi prende la spalla e mi fa girare su me stesso: «A questo gli facciamo un controllo di identità! ». Gli chiedo perché e lui mi strappa il telefono di mano. Gli dico che non ha il diritto di farlo senza un mandato di perquisizione. Ma tutto precipita. Mi tirano dalla loro parte, supero il cordone formato dai loro colleghi, si mettono in due sopra di me, ciascuno mi prende per un braccio e me lo gira dietro la schiena. Sento un dolore fortissimo. I due poliziotti mi sbattono contro un muro. Mi tirano indietro e poi mi spingono forte in modo che mi faccia male alla testa. All'inizio pensavo che volessero soltanto intimidirmi, ma loro insistono. Non riesco a respirare e non protesto più, mi dico che mi porteranno con loro e mi denunceranno per "oltraggio a pubblico ufficiale" o "ribellione".In realtà la cosa peggiore non è il dolore. I due poliziotti che mi storcono le braccia sono eccitatissimi. E si lasciano andare. Teste rasate, occhi brillanti, la scena che segue non mi sembra reale: «Ti ammazziamo, tu sei un uomo morto, ti sfondiamo, ti facciamo crepare in dieci minuti! ». Mentre sento le cartillagini che scrocchiano per la torsione, l'agente che è alla mia sinistra mi mette una mano sui glutei: «Credevi di giocare con la polizia? Guarda ora come giochiamo noi con te». Poi mi dà un forte colpo e rimette la mano sul gluteo. Con le braccia in torsione non posso respirare normalmente. «Ora ti stupriamo, ti piace questo vero? Ti stupriamo sì, vediamo se poi filmerai ancora la polizia». Non è finita: «Stai con Daesh (l'Isis in arabo) ammettilo, quando arriveranno qui cosa farai? Gli succhierai l'uccello? Poi però non piangnucolare e non venirci a chiedere di proteggerti». Ci metto un po'a realizzare dche stanno parlando di Daesh... per giustificare il loro comportamento razzista verso una donna nera che ha dimenticato a casa l'abbonamento del metrò.Aprono il mio zaino e prendono il portafoglio, me lo svuotano addosso. Prendono un pacchetto di sigarette e mi obbligano a sedermici sopra. Nel portafoglio trovano la tessera di insegnate universitario: «Sei un professore? Quando lo Stato Islamico arriverà alla Sorbona che farai, li guarderai facendoti una sega? ». Poi tocca all'altro poliziotto: «Guardami in faccia frocio di merda, tu abiti laggiù (indica il mio palazzo), vengo a casa tua con un passamontagna e ti stupro tutta la notte». Ripete le stesse minacce una ventina di volte, forse di più, sono scioccato.Ho a che fare con dei poliziotti politicizzati, poliziotti da stato di emergenza permanente che pensano di combattere una guerra contro Daesh, un Daesh che vedono in ogni persona diversa, neri, musulmani o in chi, come me, prende le difese della vittima di turno. Intanto vanno avanti: «Adesso ti diamo una bella botta di taser, vedrai come brucia». Sempre quello alla mia sinistra mi dà una scarica sul braccio. Faccio un salto e mi metto a tremare. Provo a non mostrarlo e non dico niente, ma in quel momento penso che la situazione possa degenerare ancora di più: «Ti facciamo crepare ma prima ti inculiamo». Le braccia, le spalle, la schiena mi fanno così male che da un momento all'altro mi aspetto che si rompano.L'amica che stava con me sta urlando di lasciarmi stare. Vorrei dirle di non insistere: cosa potrebbero farle questi psicopatici se fermano anche lei? Intanto però il capannello di gente che assiste alla scena si è infoltito e i poliziotti sanno che questa situazione non può durare all'infinito. Uno dei poliziotti mi dice: «Ora acchiappiamo la tua amica e l'arrestiamo per ribellione». Sento che stanno discutendo tra loro. Uno dei due agenti lascia il mio braccio: «Tu ora guarda il muro, se ti giri, se ti muovi ti apriamo il cranio in due». Io non mi muovo. «Veniamo alla Sorbona e ti sterminiamo a te e ai tui colleghi, comunista di merda». Mi fanno girare e mi trovo davanti il poliziotto che teneva il mio braccio sinistro con gli occhi fuori dalle orbite: «Ho visto che hai un contratto precario bastardo. Ti facciamo un rapporto truccato così perdi il lavoro». Non dico nulla e mi dà un pugno sul petto: «Ora cancelli il video sul telefono». Eseguo l'ordine, dicendomi che decine di testimoni hanno assistito alla scena.All'improvviso il cordone di poliziotti carica le persone che si erano riunite sul marciapiede. Il tutto è rapido e molto violento. Anche il cane si scaglia contro le persone in fuga, gli agenti spruzzano spray urticante e danno colpi di manganello anche alle persone anziane. I due che mi avevano aggredito mi lanciano il portafoglio in faccia e se ne vanno correndo. Sono molto preoccupato per la mia amica. Non la vedo, poi per fortuna mi accorgo che è riuscita a scappare. Non ho altro da fare che tornarmene a casa con la rabbia nello stomaco e il corpo dolorante. Mi dico che questa polizia razzista mi avrebbe fatto ancora più male se fossi stato un nero o un arabo. Un uomo si avvicina e mi spiega che da tempo la polizia si comporta in questo modo: «Picchiano le persone a caso per provocare disordini». Ci confortiamo a vicenda e ci auguriamo buona fortuna. Ne abbiamo bisogno.